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 2012  settembre 14 Venerdì calendario

Se l’arte si colora di nero: maxi evasione nelle gallerie - Non è il blu Klein, il giallo Van Gogh e nemmeno il rosso brillante dei Concet­ti Spaziali di Fontana

Se l’arte si colora di nero: maxi evasione nelle gallerie - Non è il blu Klein, il giallo Van Gogh e nemmeno il rosso brillante dei Concet­ti Spaziali di Fontana. Il colore del­l’arte se­mbra essere il nero e a dir­lo non sono i critici bensì i finanzie­ri. Ieri a Roma e Padova sigilli per una casa d’aste in via del Babuino e un’importante galleria: motivo scatenante il mancato pagamen­to del diritto di seguito, norma su cui una volta si era disposti a «chiu­dere un occhio», oggi non più. Contestate violazioni alla Siae per oltre 2 milioni e non solo, l’omes­sa segnalazione di transazioni su­periori ai 1.000 euro in contanti per circa 3 mi­lioni, nonché di operazioni sospette intor­no ai 14 milio­ni. Un ulteriore ramo d’inchie­sta, partito di­versi mesi fa, sta accertando le anomalie, in­cro­ciando i pro­fili fiscali di gal­lerie e case d’asta da una parte e redditi di clienti incon­grui rispetto al­le spese per quadri e scultu­re. L’ennesimo terremoto che scuote il sistema dell’arte in Italia, dopo il recente caso del pittore si­ciliano Piero Guccione «pizzica­to » a movimentare 700mila euro annui di fronte a un reddito dichia­rato di 30mila, parte dunque dal fa­migerato diritto di seguito. Si trat­ta in sintesi di una percentuale, va­riabile dal 4 allo 0,25, a seconda del prezzo dell’opera, che l’auto­re riceve a ogni passaggio di mano del lavoro stesso, pezzo singolo o multiplo. Il pagamento alla Siae è a carico di gallerie, case d’asta e commercianti, e dura per set­tant’anni, ma lo stesso venditore può esigerne la somma dal nuovo acquirente. Non da ieri il mondo dell’ar­te in Itali­a si reg­ge in buona par­te sul nero e le colpe sono da dividere tra tut­ti gli attori. Il collezionista è abituato a esi­gere lo sconto almeno del 20%; non po­tendo in alcun modo «scarica­re » l’acquisto, storce il naso di fronte all’appli­cazione del­l’I­va e rifiuta ca­tegoricamente di corrisponde­re diritto di seguito, che non è affar suo. Per non tenere in carico uffi­ciale opere nel magazzino, a lun­go le gallerie meno professionali e i loro artisti si sono messi d’accor­do per restituire tutte le opere al­l’­autore che poi le rivendeva priva­tamente per contanti riconoscen­do successivamente la mediazio­ne. Oggi è tutto più difficile: bigliet­ti ne girano pochi, i controlli sono più serrati e le gallerie che parteci­pano alle fiere devono avere un’economia trasparente pena l’esclusione. Tuttavia le incon­gruenze tra i tenori di vita dichiara­ti e quelli reali balzano all’occhio, e persiste la categoria di artisti be­nestanti mascherati da finti- pove­ri, soggetti fiscali inesistenti. Ai collezionisti, inoltre, piace molto comprare direttamente in studio, con trattamento di favore, ovvia­mente senza ricevuta, abitudine che penalizza i galleristi soffocati da costi e tasse. Se lo fai all’estero sei fuori e nessuno è più disposto a venderti un’opera, mentre in Ita­lia la parte del furbetto (anche ad altissimo livello tra insospettabi­li) mantiene sem­pre il suo sottile fa­scino. Galleristi e mercanti sostengono che comprare e vendere arte oggi in Italia è diven­tato sconveniente se non addirit­tura impossibile per la pressione fiscale che si aggiunge ai costi di gestione. A lungo si è parlato ab­bassare l’Iva o di avviare il proces­so di defiscalizzazione, ma è pro­prio la gran quantità di sommerso a impedire che il nostro mercato assuma una dimensione più chia­ra. All’estero il sistema è più tra­sparente e, soprattutto, non so­pravvive il modello della tipica gal­leria italiana «a gestione familia­re », improvvisata e pasticciona, senza struttura professionale, che spera sempre che tutto vada bene e al limite pa­ga una multa. Entra­re in un’art gallery di Londra o New York dà quell’im­pressione di algi­da rigidità da azienda di lusso; in Italia, invece, ogni cliente ha il «suo» prezzo, e per la brama di vendere si sorvola su norme e regole, si cercano esca­motage, si favorisce quel secondo mercato di courtier e mediatori che spesso rimettono in circolo opere transitate attraverso più ma­ni. A parziale scusante delle galle­rie, soprattutto le piccole o quelle camuffate da associazioni, è la te­naglia fiscale in cui si trovano ad agire: unica possibilità far girare il denaro cercando in qualche mo­do di far quadrare i conti. Alla lun­ga è difficile però resistere. «Sono cose brutte, che fanno male al mercato - ci ha dichiarato un operatore del settore - un mer­cato ormai pressoché immobile dove si ha paura di muovere dena­ro per il terrore di un immediato controllo». Un quadro (metafori­co) che riflette la situazione dram­matica dell’intero Paese. Si pensa­va che l’arte fosse un’isola felice e senza regole, ma la tempesta è arri­vata anche qua.