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 2012  settembre 14 Venerdì calendario

Draghi non basta già più: Bce e Ocse gelano l’Italia - Dopo l’acqua calda o la zuppa saporita dovuta alla notizia che la Corte Suprema tedesca ha dato il via libera al finanziamento del Meccanismo euro­peo di stabilità (Esm) da parte della Ger­mania è venuta l’acqua fredda o meglio la doccia gelata riguardan­te l­o scenario eco­nomico italiano, nel quadro euro­peo, da parte della Bce medesima, da parte dell’Ocse e da parte dell’Ufficio Studi di Confindustria

Draghi non basta già più: Bce e Ocse gelano l’Italia - Dopo l’acqua calda o la zuppa saporita dovuta alla notizia che la Corte Suprema tedesca ha dato il via libera al finanziamento del Meccanismo euro­peo di stabilità (Esm) da parte della Ger­mania è venuta l’acqua fredda o meglio la doccia gelata riguardan­te l­o scenario eco­nomico italiano, nel quadro euro­peo, da parte della Bce medesima, da parte dell’Ocse e da parte dell’Ufficio Studi di Confindustria. La Bce dice che l’Italia ha di fron­te due scenari o, se si vuole, due strade (suscettibili di essere im­boccate a seconda delle scelte che noi faremo). Con una crescita del pil media dell’1% l’Italia nel 2013 avrebbe un rapporto debito/pil che scenderebbe un pochino ri­spetto al livello del 123% atteso nel 2012; e nel 2020 potrebbe arri­vare al 100%. Invece con uno sce­nario di inadeguato e tardivo recu­pero della crescita sia pure solo dell’1%,che insé non è molto, ma è il massimo cui è lecito aspirare, nel 2013 il nostro rapporto debito/ pil salirebbe alla inaudita percen­tuale del 125%. E nel 2020, pur con tutte le sofferenze dovute alla poli­tica di rigore, ci troveremmo con un debito/pil del 117%. Sempre al­tissimo. E qui arriva la seconda ondata di doccia fredda, questa volta con fonte Ocse. A causa della depres­sione economica e della scarsa possibilità di reagirvi, le nostre im­prese stanno perdendo quota nel­la globalizzazione. Le «M&A» in­ternazionali dell’Italia, cioè fusio­ni e acquisizioni, si sono ridotte al lumicino, mentre quelle medie di tutti i Paesi, che erano di circa mil­le miliardi di dollari, sono diminu­ite a 640 del 34%, ossia sono di me­no, ma sono pur sempre un feno­meno notevole. Considerando che l’economia mondiale è rallen­tata, ma ancora cresce, rispetto al­la dimensione del pil mondiale la quota di «M&A» italiane si riduce: la nostra economia si sta «degloba­lizzando ». Perde colpi sul merca­to internazionale. Ed ecco la terza doccia fredda, che viene dall’Ufficio Studi di Con­findustria. In un anno i disoccupa­ti sono aumentati di 780mila uni­tà, ossia del 3% della forza lavoro occupata, che un anno fa era circa 23 milioni di persone. Inoltre dal 2007 ad ora gli effetti negativi del­la c­risi sulla nostra economia han­no superato quelli provocati dalla prima guerra mondiale. È ironico il codicillo aggiunto dallo stesso Ufficio Studi, secondo cui non hanno ancora superato quelli della seconda. Da tutto ciò si dedu­ce che il governo non può stare inerte rispetto ai compiti per il rilancio della nostra econo­mia, che si ottie­ne agendo sulla capacità produtti­va non utilizzata, quin­di mediante contratti di lavo­ro flessibili e flessibilità nei con­tratti di lavoro, che aumentano la produttività dell’impresa e dei suoi impianti mediante le iniziati­ve per l­e infrastrutture e per l’edili­zia affidate in gran parte ai privati. E mediante il credito a tassi ra­gionevoli per operare nei mercati internazionali con le necessarie nuove intraprese che valorizzano il made in Italy (anche alla ricerca di nuovi sbocchi) invece che farlo arretrare. Sono tre compiti in cui sino ad ora il governo Monti non si è cimentato o ha fatto interventi in opposta direzione. Per il settore del lavoro, per l’ar­ticolo 18 occorre affrontare la que­stione dei licenziamenti discipli­nari, in particolare in relazione al­l’assenteismo ripetuto e a com­portamenti nello stabilimento che danneggiano la produzione, come quelli delle agitazioni sinda­cali effettuate non nei luoghi e tempi appropriati, ma alla catena di produzione. Soprattutto occor­re toglie­re gli ostacoli alla attuazio­ne dei contratti aziendali, lascian­do a quelli nazionali solo il compi­to di indicare un quadro di riferi­mento a larghe maglie. È assurdo che Fiat Auto sia dovu­ta uscire da Confindustria per at­tuare contratti aziendali approva­ti con referendum e poi bloccati dal contenzioso. Per il credito bi­sogna rilanciare tutti gli strumen­ti disponibili e adoperare la Cassa depositi e pre­stiti per finan­ziare l’econo­mia, non per di­ventare una nuova Iri, che gestisce impre­se pubbliche. Infrastrutture ed edilizia han­no bisogno di deregolamen­tazioni per sbloccare fondi euro­pei ed italiani e di co- finanziamen­ti pubblici realizzabili mediante alienazione di beni pubblici o lo­ro apporto alle iniziative in que­stione. Insomma una politica pro cre­scita conforme al mercato per rivi­talizzare energie che ci sono ma hanno bisogno di una spinta.