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 2012  settembre 17 Lunedì calendario

ENTI LOCALI. TAGLIARE ALLA GIAPPONESE

Mentre in Italia si dibatte di come e se ridurre il numero delle province, è interessante vedere quello che è stato realizzato in Giappone, dove, dal 1995 a oggi, i Comuni sono stati dimezzati: da 3.234 a 1.719. Nello stesso periodo il numero delle città con almeno 200 mila abitanti è cresciuto da 663 a 787.
Obiettivi e ambizioni
Identici gli obiettivi e le ambizioni: risparmiare soldi pubblici senza abbassare la qualità dei servizi. Diversi i contesti storici e culturali. La rivoluzione amministrativa fa comunque discutere, talvolta litigare, anche il disciplinato popolo del Sol Levante.
Il perché lo spiega Yoshiaki Hoshino, della Jmac, la società di consulenza che è stata chiamata a introdurre nella pubblica amministrazione nipponica i metodi organizzativi applicati con successo alla Toyota. Ricette diventate leggendarie — come la «produzione snella», i «circoli di qualità» e il «miglioramento continuo» — sono state sperimentate per la prima volta nel 2008 proprio dall’amministrazione comunale di Toyota City (420 mila abitanti).
L’accorpamento fa discutere perché se ne vedono le luci e le ombre. Uno dei vantaggi, spiega il consulente, è il fatto che la gestione di aree territoriali più estese «favorisce riorganizzazioni urbanistiche di ampio respiro che danno lustro alle nuove municipalità». La fusione di più Comuni «consente la revisione dei piani regolatori, che a sua volta permette di soddisfare in modo più fluido il bisogno di parcheggi, di scuole e di ospedali».
Altrettanto sentiti sono gli svantaggi. Le aree inglobate avvertono molto il rischio di diventare più periferiche, con la conseguenza di nuovi squilibri. Sui giornali ha tenuto banco ad esempio il caso della città di Ishikari, nell’isola di Hokkaido (quella degli sport invernali di Sapporo), nata dall’incorporazione di più Comuni, che ha visto accentuarsi le differenze tra la zona sud, densamente popolata, e la zona nord, i paesi rurali di Atsuta e Hamamatsu, oggi diventati anonimi quartieri senza identità.
Tra le questioni più spinose, l’ubicazione del palazzo comunale, scelta densa di implicazioni pratiche ma anche simboliche. Nel caso del Comune di Nikaho (300 chilometri a nord di Fukushima, luogo dell’incidente nucleare), il problema ha suscitato un tale vespaio da mandare quasi a monte la fusione. Alla fine si è deciso di costruire una sede tutta nuova, mettendo i municipi «fusi» sullo stesso piano formale e affrontando così un aggravio di spesa.
Allo stesso genere di controversie appartiene la scelta del nome. A volte ha «vinto», semplicemente, il Comune più grosso, in altri casi si è optato per un toponimo nuovo, come Minami-Alps (a ovest di Tokyo), nonostante non piacesse quasi a nessuno. Controversia che non meraviglia noi italiani, abituati alle profonde rivalità culturali tra Comuni spesso divisi solo da un fiume, da una collina o dalla riga su una mappa.
Gli amministratori
Questo per quanto riguarda l’opinione pubblica. Ma il tema chiave è politico e concerne, in realtà, gli amministratori. Come determinarne il numero, ad esempio? Le regole scritte nel 2005 contemplano un aumento temporaneo degli assessori nel periodo immediatamente successivo alla fusione e prevedono che gli assessori dei Comuni coinvolti restino in carica per un certo periodo anche dopo l’aggregazione.
In Italia, dove il temporaneo tende al definitivo, una norma del genere risulterebbe fatale. Anche in Giappone però i politici non scherzano. La legge del 1947 attribuisce alle «città speciali», con almeno 200 mila abitanti, una particolare autonomia, anche nella definizione del numero di amministratori. Da qui la spinta dei politici locali alle fusioni che portino a grandi centri. Ecco perché, malgrado i contrasti, il processo di consolidamento va avanti.
In conclusione, dice Yoshiaki Hoshino, «l’accorpamento dei Comuni è un processo di lungo periodo, che richiede pianificazione, capacità di gestione e determinazione ad affrontare l’impopolarità». Secondo elemento, altrettanto importante per il dibattito sulla riduzione della spesa pubblica, «si tratta un approccio giusto e che va perseguito ma dal quale non ci si possono aspettare grandi risparmi e grandi risultati a breve».
«Il rischio che vedo in Italia, sempre che il progetto di accorpamento delle province vada avanti — aggiunge Giuseppe Falda, cofondatore di Jmac Europa — è che, anziché eliminare strutture amministrative, si finisca per aggiungerne, allontanando ulteriormente nel tempo il beneficio sui costi».
Edoardo Segantini