Paolo Griseri, La Repubblica 14/9/2012, 14 settembre 2012
ADDIO DEFINITIVO AI 20 MILIARDI PROMESSI ORA SI “TREMA” DA CASSINO A POMIGLIANO
PRIMO ARTICOLO
TORINO
— La Fiat annuncerà i suoi progetti il 30 ottobre prossimo perché «è impossibile fare riferimento al piano Fabbrica Italia », presentato due anni e mezzo fa quando la crisi di questi mesi non era stata prevista. Il Lingotto sceglie di ripetere questi concetti con un comunicato diffuso ieri pomeriggio con il titolo «Precisazione della Fiat». A spingere Marchionne verso questa decisione il fatto che «nei giorni scorsi, da parte di alcuni esponenti del mondo politico e sindacale, sono state fatte alcune dichiarazioni preoccupate per il futuro di Fabbrica Italia». Torino ricorda che «la dizione Fabbrica Italia» non è più utilizzata dal Lingotto dal 27 ottobre 2011 «perché molti l’avevano interpretata come un impegno assoluto dell’azienda mentre invece si trattava di una iniziativa del tutto autonoma che non prevedeva tra l’altro alcun incentivo pubblico».
Fin qui il comunicato ripete cose già note. Compreso l’annuncio, dato ai sindacati il 31 luglio, sul fatto che «informazioni sul piano prodotti/stabilimenti saranno comunicate in occasione
della presentazione dei risultati del terzo trimestre 2012», cioè a fine ottobre. Il passaggio nuovo riguarda piuttosto l’atteggiamento con cui la Fiat si prepara a compiere le sue scelte sull’Italia. Ricordando che l’azienda «è una multinazionale e quindi, come ogni azienda in ogni parte del mondo, ha il diritto e il dovere di compiere scelte industriali in modo razionale e in piena autonomia, pensando in primo luogo a crescere e a diventare più competitiva ». Frase preoccupante in un momento in cui si cresce in America e in Asia (ieri la notizia della probabile apertura di un secondo
stabilimento in Cina) mentre in Europa si perde. A compensazione di questa impressione negativa arriva il concetto successivo: «La Fiat ha scelto di gestire questa liberà in modo responsabile e continuerà a farlo per non compromettere il proprio futuro, senza dimenticare l’importanza dell’Italia e dell’Europa».
La mossa di Torino ha avuto l’effetto di una tanica di benzina sul fuoco delle polemiche e delle dichiarazioni. Il leader della Fiom, Maurizio Landini, ma anche il responsabile auto della Fim, Ferdinando Uliano chiedono che sia il governo a intervenire
o convocando le parti (Fiom) o «assumendo iniziative a sostegno delle aziende che investono nel nostro paese» (Fim). Palombella della Uilm teme che l’azienda compia «scelte strutturali», cioè chiuda stabilimenti. Duri i commenti della politica. Per il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, «c’è da chiedersi se il programma Fabbrica Italia sia mai esistito oltre le slides utilizzate per arrivare ad accordi sindacali pesanti». Fassina invita il governo «a chiedere chiarimenti». Anche per Nichi Vendola di Sel «il governo deve convocare l’azienda» mentre il molisano Di Pietro attacca l’ad sul piano personale: «Marchionne di italiano ha solo nome, non certo gli interessi».
Le uniche notizie positive per il Lingotto vengono per una volta dalla Borsa. Con Goldman Sachs che giudica sottovalutata l’azione Fiat portando il target price a 8,5 euro rispetto ai 4,7 della quotazione odierna. E con Dow Jones che inserisce Fiat tra le aziende virtuose sul piano ambientale e sociale.
(p.g.)
SECONDO ARTICOLO
Dimenticare Fabbrica Italia. Quello che appare un clamoroso autogol mediatico del Lingotto - ripetere con enfasi quanto finora si era detto sottovoce, e cioè che non si possono mantenere le promesse - diventa in realtà il prezzo necessario da pagare al doloroso passo successivo. Che sarà, inevitabilmente, la riduzione della capacità produttiva installata in Italia. Con tagli di personale o addirittura con nuove chiusure di stabilimenti? Marchionne scioglierà il dilemma il
30 ottobre. Ma da ieri nessuno può più fare il paragone con le promesse dell’aprile del 2010: quattro fabbriche (Mirafiori, Cassino, Melfi e Pomigliano) che funzionano a pieno regime e una produzione annua in Italia di 1,4 milioni di auto. La crisi (e la scelta conseguente di ritardare il lancio di nuovi modelli) consegnano una realtà assai meno rosea: nel 2012 in Italia la Fiat produrrà 400 mila auto, un milione in meno dell’obiettivo di Fabbrica Italia. Una capacità produttiva superiore di un milione di pezzi a quel che chiede il mercato significa avere tre stabilimenti su quattro in bilico. Non ci sono, naturalmente, automatismi ed è auspicabile che Marchionne trovi una soluzione per evitare nuove chiusure dopo quella di Termini Imerese. Ma questo è l’ordine di grandezza dei problemi da affrontare.
Dicono i rumors che ieri mattina in America (il primo pomeriggio in Italia) l’ad del Lingotto abbia preso la decisione di intervenire dopo aver letto le dichiarazioni
di sindacalisti (Camusso, Landini, Airaudo) e politici (Fassina, Vendola). Tutti a ricordare il piano del 2010, i 20 miliardi di investimenti promessi, i nuovi modelli. Evidentemente con quel paragone, qualsiasi annuncio venga fatto il 30 ottobre è destinato a suscitare delusione e accuse al vetriolo. Meglio dunque mettere le mani avanti e sottolineare quel che si era già detto. Non tanto il 27 ottobre 2011, quanto nella recente assemblea degli azionisti di primavera. Nell’ottobre di un anno fa infatti la scelta di abolire la dizione «Fabbrica Italia», era stata la risposta agli interrogativi della Consob che voleva sapere dove e quando il Lingotto avrebbe speso i famosi 20 miliardi promessi. La Fiat aveva scelto di non rispondere alla domanda e per uscire dall’impasse aveva deciso di abolire l’espressione «Fabbrica Italia» sostenendo che non di un vero e proprio piano si trattava ma di una semplice ipotesi di lavoro. Nella primavera scorsa invece era stato lo stesso Marchionne a dire
agli azionisti Fiat che «in occasione dell’approvazione dei dati del terzo trimestre 2012» avrebbe presentato un vero e proprio piano alternativo a quello del 2010.
Mancano ora sei settimane al d-day del cda del 30 ottobre. La situazione sta diventando molto difficile. Marchionne in questi mesi ha tentato diverse vie di uscita. Ha proposto ai giapponesi della Mazda di affittare una parte degli impianti italiani. Ha chiesto che sia l’Ue a farsi carico del problema della sovracapacità produttiva dei costruttori europei. Sta tentando la strada di produrre in Italia anche una parte delle auto da vendere in America. Nessuno può dire oggi quali di questi tentativi andranno a buon fine e con quale risultato sulla situazione italiana. Certo, il quadro del 30 ottobre sarà assai meno roseo di quello rappresentato l’altro ieri dal presidente della Fiat, John Elkann, che ha parlato di «conti in miglioramento rispetto al 2011» e di un’azienda in buona salute. Perché ultimamente la buona salute degli azionisti non è andata di pari passo con quella dei dipendenti. Anzi. Sembra proprio che la cassa integrazione dei secondi sia la premessa per gli utili in aumento dei primi. E, forse non per caso, tocca all’amministratore delegato, che ci mette direttamente la faccia, ricordare a tutti che il cielo sopra Torino è più nuvoloso di quanto dicano i suoi azionisti.