Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 09/09/2012, 9 settembre 2012
ALLA CONQUISTA DELLO SPAZIO
Ogni volta che finisce di arredare una casa, Marika Carniti Bollea ha paura che ai proprietari venga in mente la frase di Jean Cocteau: «Questo corpo che ci contiene non appartiene al nostro corpo. Chi ci abita è abitato». Perché le case inventate da Marika danno l’ impressione di essere dei contenitori che hanno il sopravvento su chi le abita. Anzi, certe volte sembra addirittura che sia impossibile abitarle. Appaiono più come scenografie sontuosamente kitsch, piuttosto che luoghi funzionali alla vita quotidiana. Spesso Marika si propone addirittura di far entrare i proprietari in un quadro, informandosi sul loro artista preferito e ricostruendo spazi ispirati ai dipinti di Picasso, Matisse, Klimt, De Chirico, Delvaux, Füssli. «Il contenuto della casa - sostiene - è un mondo da costruire perché nella casa c’ è sempre un’ idea del mondo. La casa trattiene emozioni e percezioni; tutto e il contrario di tutto. Lo spazio si conquista: è un racconto da creare. E così prendo tutto in prestito. Non importa che la realtà sia apparentemente dimenticata perché è proprio questo lo scopo che si tenta di raggiungere. Ironizzare e trasformare». Dice di farlo ispirandosi anche alle teorie del marito, il neuropsichiatra infantile Giovanni Bollea, scomparso di recente. «Il luogo dove si pensa e si sogna è il sogno già realizzato», diceva lo studioso. E Marika, con quel suo peregrinare da un artista all’ altro, ha aderito in parte alla dimensione del gioco infantile. L’ obiettivo è di «cogliere la fiaba più convincente», dilatando il pensiero fantastico in progetti immaginari, trasformati poi in realtà per interpretare il desiderio più inconscio del committente «che non riuscirebbe altrimenti a esprimere la propria fantasia». Questa visione incantata si riflette nel titolo della mostra «Realismo magico in scena e nell’ abitare di Marika Carniti Bollea», allestita nel Salone Centrale del Complesso del Vittoriano (via San Pietro in Carcere), dove resterà aperta fino al 7 ottobre. Davanti agli occhi dei visitatori scorrono quarant’ anni di scenografie e disegni, di fotografie delle case realizzate e oggetti di arredo. Si viene catturati da quegli interni che un architetto come Bruno Zevi definì - facendo appello a una raffica di aggettivi contrapposti - "deliziosi e soavi, leggeri, utopici e anacronistici, reazionari e d’ avanguardia, bianchi e neri, nazi-fascisti e stalinisti, incantevoli e raccapriccianti, oggetto adatto a qualsiasi parola in libertà e al suo contrario". Si resta interdetti davanti a quelle sue case dark, che Paolo Portoghesi interpreta con ironia: "Certe case di Marika si potrebbero dire gotiche, nel senso dei racconti, non certo di architettura, ed effettivamente ricordano abitazioni che servono, appunto, a terrorizzare le persone che vogliono essere terrorizzate; e perché non si deve dare a chi desidera essere terrorizzato dalla casa questa soddisfazione?". Gli interventi, insieme a quelli di Gillo Dorfles, Renzo Piano e altri, sono contenuti nel bel catalogo edito da Maretti. La mostra, curata da Claudio Strinati e voluta da Comunicare Organizzando, ha ottenuto da Giorgio Napolitano la medaglia presidenziale. Ingresso gratuito.
Lauretta Colonnelli