Marco Fortis, Il Sole 24 Ore 12/9/2012, 12 settembre 2012
LA SFIDA INDUSTRIALE OBBLIGATA
L’Italia descritta dal comunicato stampa Istat di lunedì scorso, con il Pil in calo tendenziale del 2,6% nel secondo trimestre 2012 rispetto allo scorso anno, ha tenuto banco ieri alla XV edizione di Milano Unica anche negli interventi del presidente del Consiglio Mario Monti e del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. È un’Italia in cui i consumi privati, gelati dall’austerità forzata imposta dalla generale crisi di fiducia sui debiti sovrani, sullo stesso nostro Paese e sull’euro, risultano ormai in calo congiunturale da cinque trimestri consecutivi, con una diminuzione tendenziale nel secondo trimestre 2012 che ha toccato il 3,6%: un calo trimestrale così forte anno su anno non c’era stato nemmeno nel 2008-2009. In termini reali, le famiglie italiane hanno speso per consumi nel secondo trimestre 2012 quasi 8 miliardi di euro in meno rispetto al secondo trimestre 2011. Monti ha cercato di spiegare questo dato, argomentando che non è facile, almeno a breve-medio termine, evitare un aggravamento della situazione economica quando si devono trovare in pochi mesi risorse finanziarie importanti per tenere strutturalmente in linea i conti pubblici, per di più con il fiato sul collo di uno spread in continua tensione, e al contempo si cerca di avviare riforme mai affrontate per anni, in primis una seria spending review che tagli la spesa "cattiva". Il presidente del Consiglio si è detto convinto che solo risanando definitivamente le situazioni negative pregresse, pur a costo di una contrazione temporanea quanto dolorosa della domanda interna, l’Italia possa ritrovare il sentiero di una crescita sostenibile e duratura. Monti non ha fatto paragoni storici, ma si potrebbe ricordare qui il caso della Gran Bretagna e l’impatto delle riforme della Thatcher, che pur nella loro peculiarità e diversità rispetto alle nostre attuali, provocarono agli inizi degli anni 80 una severa recessione e un forte aumento della disoccupazione. Tuttavia, vi fu poi nel Regno Unito una solida ripresa economica e un vero e proprio rilancio strutturale del Paese, anche se la Gran Bretagna, in parte proprio a causa di quelle politiche, perse per sempre la sua manifattura. Questo è evidentemente un costo che l’Italia non potrebbe permettersi, visto che non possiede un settore dei servizi analogo a quello britannico su cui puntare. Per cui occorre manovrare con estrema cura il livello di anemia della domanda interna "buona" che oggi mette in pericolo la sopravvivenza di tanti produttori italiani di beni di consumo. È inoltre necessario il rilancio della politica industriale nel nostro Paese che, per evitare equivoci terminologici con il passato, potrebbe oggi chiamarsi più modernamente politica tecnologico-manifatturiera. «L’Italia è un grande Paese e merita di continuare ad essere tale», ha detto il presidente di Confindustria. E su questo non vi devono essere dubbi, perché l’Italia uscita dalla fotografia dell’Istat è anche un’economia in cui le esportazioni di beni e servizi in termini reali, sia pure in rallentamento a causa del peggioramento del quadro internazionale, sono in costante espansione tendenziale dal primo trimestre del 2010, cioè da 10 trimestri consecutivi. Nell’ultimo anno, da luglio 2011 a giugno 2012, la domanda interna al netto delle scorte ha contribuito a far diminuire congiunturalmente il Pil italiano di 4,3 punti, fortunatamente controbilanciati da un contributo cumulato positivo di 2,9 punti della domanda estera netta. È chiaro che anche il calo dell’import dovuto all’austerità ha avuto il suo peso nel favorire tale dato, ma è altrettanto certo che lo sforzo delle imprese esportatrici è proseguito senza tentennamenti. Una cifra fa testo su tutte. Nei dodici mesi da luglio 2011 a giugno 2012 il surplus manifatturiero con l’estero dell’Italia ha sfiorato gli 80 miliardi di euro correnti: un livello di non poco conto, se si pensa che i massimi pre-crisi viaggiavano intorno ai 64 miliardi. Due azioni sono cruciali per poter esportare ancor di più e meglio: rimuovere gli ostacoli che frenano le attività e gli investimenti delle imprese e sviluppare una consapevole politica tecnologico-manifatturiera orientata all’innovazione e all’internazionalizzazione, che aiuti davvero gli imprenditori italiani quando fanno ricerca e quando vanno all’estero. Ma il vero problema dell’Italia oggi è il rilancio di una domanda interna cronicamente malata che ha perso con le recenti manovre finanziarie ulteriore slancio e fiducia. Ed è soprattutto sul fronte domestico, più che su quello dell’export, che si misura davvero il gap di produttività ieri nuovamente richiamato da Monti a Milano Unica, non solo nel manifatturiero ma principalmente nei servizi. Senza maggiori liberalizzazioni e una maggiore flessibilità, le imprese italiane che vendono su un mercato interno già asfittico rischiano di perdere opportunità e competitività rispetto ai concorrenti stranieri che puntano a conquistare quote nel nostro Paese, mentre le imprese straniere che operano in Italia possono essere tentate prima o poi di andarsene. Perciò Monti ha chiesto anche uno sforzo di maggiore unità e impegno alle parti sociali per uscire dalla crisi. Tuttavia, occorre altresì che i sacrifici di cittadini e imprese, rappresentati dalle tasse necessarie per il pareggio dei conti pubblici, vadano di pari passo con il taglio della domanda interna "cattiva", rappresentata dalla spesa pubblica improduttiva, e che le riforme messe in cantiere si concretizzino effettivamente attraverso i necessari passi attuativi che ancora sono molto in ritardo sulla tabella di marcia.