Valerio Castronovo, Il Sole 24 Ore 14/9/2012, 14 settembre 2012
LA VOCAZIONE INTERNAZIONALE VIENE DA LONTANO
La lunga marcia che la Fiat ha compiuto arrivando oggi ad acquisire l’assetto e lo statuto di una vera e propria società multinazionale ha radici lontane. È cominciata più di novant’anni fa con la creazione nel 1920 di una consociata a Varsavia, la Polski Fiat, che nel successivo quindicennio sarebbe giunta a coprire metà della domanda locale di vetture e il 70% di quella di veicoli industriali.
Frattanto, nel dicembre 1928, la casa automobilistica torinese si era assicurata il controllo di una impresa tedesca, la Nsu, con una grossa fabbrica a Heildronn. Sei anni dopo la Fiat aveva costituito a Sulesnes, un sobborgo industriale di Parigi, la Simca, dove avrebbe prodotto da allora la "Balilla" in competizione con la Renault, la Citroën e la Peugeot. A quell’epoca operavano nell’ambito del gruppo torinese anche uno stabilimento in Austria, attivo dal 1925 e passato totalmente sotto le sue insegne nel 1933, e un altro in Cecoslovacchia dove dal 1931, tramite un accordo con la Walter si producevano, insieme ad alcuni modelli di auto, motori d’aviazione.
Sia per questi suoi insediamenti produttivi all’estero, sia per le sue numerose succursali commerciali sparse in tutta Europa, la strategia internazionale della Fiat si era già nettamente delineata e aveva conseguito risultati di rilievo, essenziali per le sue fortune, dato le dimensioni ancora anguste del mercato italiano.
Senonchè, dopo la guerra, si dovette ricominciare da capo. Il primo avamposto all’estero stabilito dalla Fiat fu nel 1949 in Spagna, con la costituzione della Seat a Barcellona (che dal 1953 avrebbe prodotto la "1400"). Nello stesso periodo la casa torinese aveva assunto una grossa partecipazione nella società argentina Concord di Cordoba, specializzata in automezzi, trattori e materiale ferroviario; e avviato trattative con il Governo brasiliano per l’istallazione di una fabbrica di veicoli industriali e di trattori, destinata successivamente a fare da trampolino di lancio al grosso complesso di Belo Horizonte.
Inoltre, dopo la soluzione della questione di Trieste, aveva avuto via libera per la realizzazione nel 1954 di uno stabilimento in Iugoslavia, presso Belgrado, per vetture e autocarri, il primo complesso costruito da un’impresa occidentale in un paese comunista. E da quella prima incursione all’Est aveva poi fatto seguito, undici anni dopo, nel giugno 1965, il famoso accordo con l’Unione Sovietica per la creazione della fabbrica di Togliattigrad.
Dopo di allora da Torino si era guardato soprattutto al Sudamerica dove la Concord (con a capo Aurelio Peccei) era giunta nel 1970 ad annoverare più di 20mila addetti, una volta sfumata nel 1984 la prospettiva di una joint venture con la Ford, la Fiat riprese a tessere il filo delle sue attività in alcuni paesi dell’Est europeo, soprattutto in Polonia, dove nel 1991, prese il via in uno stabilimento a Tychy la produzione della "500" con una linea di montaggio interamente robotizzata. Inoltre, nei piani di Corso Marconi (allora quartier generale) figuravano due progetti importanti in Turchia e in India (dove poi approdò nel 1997 l’Iveco).
Come sappiamo la joint venture con la General Motors stipulata nel marzo 2000 finì nel 2004 con un divorzio. Ma nel 1990 sembrava invece fatta un’alleanza con la Chrysler dopo un incontro avvenuto in settembre a Torino fra Gianni Agnelli e Lee Iacocca. Senonché i rischi vennero allora giudicati prevalenti rispetto alle opportunità. Sta di fatto che oggi, con la costituzione di Fiat-Chrysler, non soltanto si è realizzata in pieno la strategia internazionale del Gruppo torinese, ma è cambiata anche la sua cultura d’impresa, che non ha più nulla a che vedere con la fabbrica-città "fordista" di altri tempi.