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 2012  settembre 14 Venerdì calendario

BOMBA O NON BOMBA, SOFFIANO VENTI DI GUERRA


Carino, il pupazzetto. E che colori vivaci. Il gadget arriva in questi giorni con la posta. Un opuscolo in ebraico. L’ha preparato il ministero della Difesa. In copertina c’è Moishe Oofnik, l’eroe tv dei bambini, un cagnone peloso che spunta da un bidone della spazzatura e fa lo spiritoso: «Questo è il mio rifugio!». Dentro, meno divertenti, ci sono quindici pagine d’istruzioni per l’uso: ti spiegano come trovare un nascondiglio più sicuro del pattume, se cominciano a piovere i missili. E come preparare la famiglia: mai parlarne a tavola, tenere sempre sotto mano le maschere antigas (che la metà della popolazione e quasi tutti i palestinesi, peraltro, non hanno ancora ricevuto…). Gli esperti dicono che ogni israeliano, ovunque, avrebbe non meno di 30 secondi e non più di tre minuti per scappare negli shelter. Il sindaco di Tel Aviv ha elencato i posteggi sotterranei che, nell’emergenza, possono ospitare fino a 80mila persone. «Non siamo mai stati così pronti», ha riassunto ottimista il ministro Matan Vilnai. Qualche straniero s’è cautelato, affittandosi un bilocale a Gerusalemme Est: se tirano, difficile che mirino ai quartieri arabi. Anche i grandi network americani si sono attrezzati e, come accadde a Roma per l’agonia del Papa, le terrazze più alte degli hotel sono prenotate da mesi: da lì si vedevano bene gli Scud di Saddam nel ’91, da lassù si potrà inquadrare il nuovo e fin troppo annunciato ciclo di violenza nel Medio Oriente.
Sarà vera guerra? Meteorologicamente parlando, ha scritto una volta il caustico Shalom Auslander, Israele ha due sole stagioni: porca vacca che caldo e porca vacca che freddo. Politicamente parlando, l’affaire iraniano non è diverso: o si spara, o non si spara. Sul barometro, falliti i negoziati e i controlli dell’Agenzia atomica, accelerato il programma nucleare, altre previsioni non si leggono. È almeno da quindici anni che Israele suona l’allarme ayatollah, ma stavolta i giornali sono stracerti: con l’autunno, Teheran avrà la Bomba. E al premier Bibi Netanyahu ogni data andrebbe bene, per muovere i 200 aerei addestrati all’attacco dei siti atomici: prima del voto americano o dell’insediamento del nuovo presidente, a seconda di chi vincerà, o ancora più in là se il generale inverno (e la prudenza del vecchio presidente Shimon Peres) renderà complicato volare nel corridoio aereo giordano-iracheno, quello preferito. In realtà pure Bibi sa che un conflitto, senza gli Usa, sarebbe insostenibile.
E che in fondo Iran e Israele, temendosi, hanno sempre tenuto a bada la reciproca incompatibilità: Khamenei, ripetendo spesso che la questione palestinese non è una priorità del jihad sciita; gl’israeliani, fronteggiando gli Hezbollah del Libano e Hamas a Gaza, ma evitando con cura di trascinare gl’iraniani in battaglie più che verbali. Insomma, dietro le sparate ufficiali, lo stesso Netanyahu l’ha ammesso in agosto con un deputato americano: «A certe condizioni», l’attacco può attendere. Bibi il bellicoso o Bibi il bluffatore? L’uomo è bugiardo, si confidarono una volta Obama e Sarkozy, e imprevedibile in tutto meno che nella retorica: da quattro anni ripete di sentirsi un Churchill in mezzo a tanti Chamberlain, lui realista in un Occidente troppo tenero col lupo iraniano, proprio come lo furono gli europei con Hitler… «Se aveste le foto di Auschwitz in costruzione», ha chiesto giorni fa, «aspettereste ad attaccare? Non c’è bisogno che la Bomba sia montata su un razzo: per fregarci, basta consegnarla in una valigetta agli Hezbollah…». Ci fosse ancora Bush jr, che nel 2005 voleva già appoggiare l’attacco, forse parleremmo d’una guerra già consumata. Obama però è un’altra faccenda e Netanyahu lo sa. L’ultimo sgarbo? Dopo averle rinviate due volte, il presidente americano ha sì acconsentito alle manovre militari di fine ottobre, le più grandi mai programmate fra Usa e Israele, ma le ha di fatto boicottate, richiamando in patria 4 soldati su cinque. Obama non vuol essere “complice d’un attacco”, pur sapendo che il rivale Romney farebbe come Bush. La tesi della Casa Bianca, condivisa da almeno metà degl’israeliani, fra questi scrittori come Amos Oz o un ex direttore del Mossad, Meir Dagan, è chiara: l’attacco può solo ritardare il programma nucleare e ci restituirebbe un Iran rabbioso, rafforzato dal suo complesso di persecuzione. Anche Obama però ha fatto gravi errori, obbietta Ray Takeyh, mediorientalista di Yale: aver abbandonato Netanyahu e «isolato i negoziati sul nucleare, affidandoli soltanto all’Onu, senz’allargare la trattativa con Teheran ad altri tavoli, come l’Afghanistan o l’Iraq».
Troppo tardi, ormai. L’Iran oggi ragiona da potenza regionale e il nucleare, nella propaganda, è diventato una conquista come la nazionalizzazione del petrolio, negli Anni 50. Le ambizioni atomiche iraniane sono antiche, del resto: cominciò lo Scià, e già allora si sospettava non fossero solo per scopi pacifici. Paradossalmente, fu Khomeini a congelare la Bomba: la riteneva inaccettabile per la rivoluzione islamica. Mentre in quegli anni fu l’Occidente a lasciare che Israele introducesse a suo vantaggio il concetto di “ambiguità nucleare” (mai ammettere e mai smentire il possesso d’ordigni atomici): ancora oggi, il miglior argomento della propaganda di Teheran. Il regime riprese la sua marcia sull’atomo solo negli Anni 90, ma lo choc fu nel 2002, quando si scoprì quanto fosse avanzata. Negli ultimi cinque anni, l’arricchimento accelerato dell’uranio, fino alle angosce di oggi.

Una guerra è già iniziata. «Quel che impressiona è che i tamburi di guerra, in Iran, non preoccupino nemmeno le voci del dissenso», osserva l’editorialista israeliano Nahum Barnea. Forse perché pochi temono davvero un bombardamento: una lunga guerra nascosta è già in corso a suon di virus informatici, spie, blogger, uccisioni di pasdaran e di scienziati nucleari, attentati alle ambasciate israeliane in Georgia, India, Azerbaigian… Nella battaglia delle parole, anche Teheran ci sa fare: con la Guida suprema Ali Khamenei che, prima, maledice la Bomba in una fatwa e, subito dopo, ripromette di cancellare Israele dalla mappa, salvo raffreddare di nuovo gl’incendiari comizi di Ahmadinejad… L’informazione di regime va a ruota: ripete che il nucleare non ha scopi militari, trasmette le “confessioni di spie sioniste” accusate d’essere dietro gli assassinii dei fisici atomici. Guerra o pace, però, le domande restano appese. Se i reattori lavorano per l’energia pulita, e non per la Bomba, a che cosa servono in un Paese che galleggia sul petrolio? E se è l’ora d’attaccare, perché il mondo non ha ancora visto la prova decisiva, la famosa pistola fumante? Parole nel vento (radioattivo): finora, si vedono solo brutti fumi neri.