Stefano Righi, la Lettura (Corriere della Sera) 09/09/2012, 9 settembre 2012
COSI’ DALI’ E’ FINITO IN FLORIDA
S’incontrarono una sera a teatro. Lei aveva quasi trent’anni ed era tornata dalla Florida, dove si era diplomata in musica al Rollins College di Winter Park. Lui era da poco arrivato in città. Il nonno minatore, che fu uno dei fondatori del Museo di storia naturale di Denver, lo aveva convinto a laurearsi in geologia a Boulder, nel Colorado. Poi prese un master alla Harvard Business School e trovò lavoro alla Reed Prentice, un’azienda di materie plastiche del Massachusetts, che nel 1941 lo spedì da Worchester a Cleveland per aprire la nuova sede. Fu un incontro casuale, sulle note della Cleveland Symphony Orchestra. Un colpo di fulmine. Un tête-à-tête quasi surreale: lui la invitò subito a casa, a vedere le sue acqueforti e lei, molti anni dopo, ricordò che quella sera si fermarono proprio a guardare le acqueforti…
Albert Reynolds Morse sposò Eleanor Reese l’anno dopo. Lei era la figlia di un piccolo imprenditore farmaceutico. Ma entrambi, in quegli anni che vedevano l’Europa incendiata dalla guerra, erano rapiti dalle arti: musica, pittura, scrittura. La scintilla scoccò quando, nel marzo del 1942, il Museo di arte moderna di New York portò a Cleveland una retrospettiva dedicata a un semisconosciuto pittore catalano, Salvador Dalí, fuggito dalla Spagna e dalla guerra un paio d’anni prima. Fu il secondo colpo di fulmine della loro vita. Tanto che, per il loro primo anniversario di matrimonio, i coniugi Morse decisero di regalarsi un viaggio a New York, dove aveva riparato Dalí. Vollero conoscerlo e una sera, all’hotel St. Regis, presero un aperitivo con il loro pittore preferito e con sua moglie, Gala Eluard. Ne vennero immediatamente conquistati e subito acquistarono il loro primo quadro di Dalí, Daddy longlegs of the evening — Hope!, pagandolo 1.250 dollari. Un’opera di medie dimensioni, la prima dipinta dall’artista spagnolo negli Stati Uniti, che racconta l’orrore della guerra che funestava il Vecchio continente. I Morse tornarono felici a Cleveland, non sapendo di aver iniziato la più straordinaria collezione privata di opere del padre del surrealismo: oltre 2 mila lavori di cui 96 quadri ad olio.
Nel 1943 Reynolds comprò altre tre tele di Dalí e iniziò a scrivere il primo dei sette volumi che negli anni dedicò alla vita del suo artista preferito. Le due coppie iniziarono a frequentarsi. Nel 1949, con la guerra finalmente lontana, Reynolds Morse lasciò la Reed Prentice e fondò poco lontano da Cleveland, a Beachwood, la Ims (Injection molders supply company), nella quale investì tutti i suoi denari e alcune felici intuizioni nel campo dei materiali plastici stampati a iniezione. Quei brevetti, che aveva registrato a Cleveland — e che in parte sono ancora utilizzati dall’industria — fecero la sua fortuna e quella di Salvador Dalí.
I Morse passarono rapidamente dall’agiatezza alla ricchezza vera e propria e poterono così dedicarsi pienamente alle loro vocazioni artistiche. Eleanor dopo il diploma in Florida continuò in Italia, all’Accademia Chigiana di Siena, gli studi musicali. Visitò la Francia e, tornata negli Stati Uniti, ottenne un master in francese e spagnolo alla Case Western Reserve University. Le conoscenze acquisite le permisero di iniziare quello che fu il vero lavoro della sua vita, la traduttrice.
Il rapporto tra i Morse e i coniugi Dalí si intensificò fino a sviluppare un’amicizia che abbracciò quattro decenni. Si vedevano a New York, dove Dalì voleva si aprisse un Museo a lui dedicato e finanziato da Reynolds, talvolta in Europa, dove dal 1954 i Morse arrivavano con una certa frequenza nella casa dell’artista, a Port Lligat, non lontano da Barcellona, oppure a Parigi. L’armonia delle due coppie veniva rotta raramente, solo quando Dalí scopriva che i Morse avevano acquistato suoi vecchi quadri da qualche mercante — anziché preferire la produzione più recente, ancora nella disponibilità del maestro — si abbandonava a piazzate scenografiche, con urla e minacce. Ma le loro vite si intersecarono fino alla scomparsa di Dalì nel 1989, quarantasei anni dopo il primo incontro.
Dagli anni Settanta la collezione Morse dovette confrontarsi con il problema della mancanza di spazio. La residenza di Cleveland era ormai insufficiente per esporre le centinaia di opere e Reynolds — ignorando le urla di Dalí che tentava di attrarlo a New York — fece costruire il museo in un’ala della nuova sede della sua azienda, la Ims che continuava a stampare la plastica. Pur contrariato, Dalì presenziò all’inaugurazione, nel 1971, ma bastarono pochi anni per rendere inadeguata — per la quantità di opere che si aggiunsero e per il numero di visitatori — anche la prima sede del museo. Superati i sessant’anni Reynolds — nato a Denver nel 1914 — iniziò pragmaticamente a pensare alla successione e a quella immensa fortuna, di cui la collezione era parte, su cui si sarebbe accanito il fisco americano alla sua morte. I coniugi decisero così di donare l’intera raccolta a quel museo che si fosse impegnato a mantenerne l’integrità. Ma anche nella ricca America, i desideri si scontrano con la realtà: i più generosi chiesero di poter vendere parte della collezione. Non se ne fece nulla. Il caso, dopo un po’, rimbalzò sulle pagine del «Wall Street Journal» e venne notato da un avvocato di St. Petersburg, in Florida, James W. Martin, che lo fece suo. Martin iniziò una vera campagna pro Dalì: venne recuperato un vecchio stabile e il 7 marzo del 1982 aprì il Museo Dalí di St. Petersburg; tre mesi dopo, nel castello di Púbol, in Spagna, morì Gala.
I Morse, lasciata la guida dell’azienda al figlio Brad, si trasferirono in Florida e la loro presenza fu di stimolo per la realizzazione di un nuovo edificio, interamente dedicato alla collezione. Nel 1989, quando scomparve Dalí, re Juan Carlos di Spagna nominò Reynolds ed Eleanor Ufficiali dell’Ordine della croce di Isabella la Cattolica, la più elevata onoreficenza attribuibile a un non spagnolo. Fu un’ulteriore spinta a favore della loro opera di divulgazione. Il pressing sulle autorità locali si placò solo quando i Morse individuarono la disponibilità dell’area di Bayboro Harbor, dove oggi c’è anche un aeroporto turistico: la zona ricordava loro la spagnola Cadaqués, dov’era la casa natale di Dalí. Lì, l’11 gennaio del 2011, alle ore 11 e 11 minuti, presente Cristina, infanta di Spagna, è stata inaugurata la nuova e definitiva sede della collezione Morse, il Dalí Museum, un edificio surreale e fantastico, con un labirinto nel giardino, costato 36 milioni di dollari e disegnato dall’architetto Yann Weymouth. Reynolds era mancato 11 anni prima, Eleanor si era spenta nell’estate precedente, a luglio, poco lontano dalle sue opere, a 97 anni e aveva vinto anche l’ultima battaglia. Il museo, che nella sua prima stagione registrò 57 mila visitatori, attrae oggi, nella remota St. Pete, oltre 300 mila appassionati l’anno.
Stefano Righi