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 2012  settembre 14 Venerdì calendario

I COLPI DEL MERCATO E QUEI MODELLI CHE MANCANO

Cala il sipario sul piano «Fabbrica Italia». È la stessa Fiat ad azionare la manovella. Il mercato dell’auto è crollato in tutta Europa e in Italia è tornato quello di 40 anni fa. Sono gli effetti della recessione, che è seguita, interrotta da una breve ripresa, al crac della Lehman, cinque anni fa. Questo esito non sorprende coloro i quali avevano accolto l’annuncio di «Fabbrica Italia» con un certo scetticismo, e perciò reclamavano informazioni più precise di quelle, vaghe, date nell’aprile 2010 a Palazzo Chigi. Lo scetticismo, giova ricordarlo, era motivato dal fatto che già allora l’industria automobilistica europea aveva una sovraccapacità produttiva del 25%. Come sarebbe mai stato possibile raddoppiare la produzione in Italia senza un impegno reale e misurabile su nuovi prodotti graditi dai consumatori? Sergio Marchionne pretese di essere creduto sulla parola e di avere, in cambio di «Fabbrica Italia», talune concessioni sindacali. Le ha avute. Faticosamente, ma le ha avute. E adesso? La dura legge del mercato già gli aveva suggerito di preparare la ritirata quando, nell’intervista che aveva rilasciato al «Corriere», avvertì che 2 dei 5 stabilimenti italiani dell’auto sarebbero stati chiusi se la Fiat non fosse riuscita a esportare grandi quantità di auto costruite in Italia negli Usa. Il che, francamente, apparve fin dall’inizio poco probabile.
La caduta verticale della domanda non è colpa né di Marchionne né della Fiat. Ma è stata una scelta della società quella di non investire in nuovi modelli quando tutti lo facevano. Marchionne la presenta come una decisione avveduta. Sfortunatamente, la Fiat non solo ha venduto meno ma ha anche perso quote di mercato. Dunque ha fatto peggio degli altri. Gli azionisti della Fiat possono consolarsi con i buoni risultati della Chrysler e la tenuta del Brasile. L’Italia, invece, ha un problema. Sta perdendo l’industria automobilistica. Dopo l’intervista di Marchionne, il premier Mario Monti convocò l’amministratore delegato della Fiat e il suo presidente, John Elkann. Alla fine concluse che la Fiat può allocare dove crede i suoi investimenti. Per dire questo non c’è bisogno di un governo. Da Torino all’Emilia, da Cassino a Melfi, l’Italia ha buoni giacimenti di capacità tecniche e di voglia di lavorare. Nelle scorse settimane, la Volkswagen aveva fatto informalmente sapere la sua disponibilità a rilevare il marchio Alfa e uno stabilimento. Sarebbe un sollievo. Il ministro per lo Sviluppo, Corrado Passera, ha un’occasione per farsi valere più importante dei congressi dell’Udc.
Massimo Mucchetti