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 2012  settembre 13 Giovedì calendario

E ADESSO BARACK RISCHIA IL POSTO


L’ambasciatore Chris Stevens e tre altri diplomatici americani uccisi in Libia, e qualche ora prima un assalto violento di dimostranti islamici all’ambasciata egiziana, culminato con il falò di una bandiera a stelle e strisce, lo sventolio di drappi neri inneggianti a Osama e al Profeta e i cori della folla «non c’è altro dio che Maometto». È successo tutto l’11 settembre, anniversario dell’attacco di Al Qaeda all’America nel 2001. La “primavera araba”, dopo i tanti segnali di degenerazione politica verso l’islamizzazione dei regimi e delle legge, dal Cairo a Tripoli, è passata alle vie di fatto, e l’America (con Israele) è sempre l’obiettivo principale. La strategia seguita da Obama dal suo insediamento è la principale imputata per i tragici sviluppi di martedì. Aver iniziato il mandato con il famoso discorso di scuse e di “pacificazione” con l’Islam nel 2009 al Cairo è stato tra i primi passi falsi. Poi c’è stata la “mano tesa” all’Iran, seguita dal non appoggio alla opposizione massacrata in piazza a Teheran, quando Ahmadinejad truccò le elezioni. E ancora ieri, a proposito di ebrei «da spazzare dalla mappa», Barack ha respinto la richiesta di un incontro avanzata dal premier israeliano Netanyahu per fine mese. Obama non vuol far capire agli ebrei in Florida, Ohio e Pennsylvania, i tre stati ballerini dove il loro voto può pesare assai, che il suo governo non è fermo come lo sarebbe Romney nella difesa di Israele. In Libia, il governo Usa “guidò da dietro” le operazioni che portarono alla eliminazione di Gheddafi per “motivi umanitari”, ma la speranza di Obama di essere immune da chi è in guerra con l’America è vana, come s’è visto. E da quando in Siria è stata avviata da Assad la carneficina dei cittadini (arrivata ora a 30mila morti) Obama non ha guidato né da davanti né da dietro, delegando all’Onu una risposta che non può venire, dati i veti russo e cinese. L’esplosione di violenza dell’11 settembre è stata l’assurda risposta dei militanti musulmani ad un film su Youtube, considerato blasfemo, di un regista californiano che ridicolizza Maometto. In realtà, sono stati la carenza di leadership di Obama nel mondo e il suo atteggiamento ambiguo e timido nella difesa dei valori universali di libertà a indebolire ruolo e immagine dell’America. Le sue esplicite “scuse”, ripetute in tanti discorsi, per gli “errori” dell’America dei suoi predecessori nei confronti dell’Islam sono l’ovvio retroterra cultural- politico per la dichiarazione uscita dall’ambasciata Usa in Egitto dopo l’aggressione. «L’ambasciata Usa condanna gli atti continui di individui fuorviati di ferire i sentimenti religiosi dei musulmani, come condanniamo gli atti che offendono i credenti di tutte le religioni (…) Fermamente rigettiamo le azioni di chi abusa del diritto universale di espressione per colpire i sentimenti religiosi di altri». Colpevole è la libertà di parola, ma solo se offende Maometto. «Il presidente è responsabile non solo per le parole che escono dalla sua bocca ma anche per quelle che vengono dai suoi diplomatici, dalla sua amministrazione, dal suo dipartimento di Stato», aveva attaccato Romney nella notte il comunicato del Cairo, prima che la Casa Bianca si rendesse conto che era stato un errore chiedere scusa per un film invece che condannare un assalto violento a una sede Usa. Lo stesso staff di Obama ha così poi preso le distanze dal comunicato, dicendo che non era stato approvato da Washington. Il che, però, ha permesso a Romney di rincarare la critica. «Chiaramente stanno mandando messaggi contraddittori al mondo», ha detto il candidato del GOP ieri mattina. Obama, con al fianco Hillary Clinton, ha promesso ieri «che giustizia sarà fatta» e chiesto al mondo di essere con l’America nel condannare gli attachi «oltraggiosi», e senza «alcuna giustificazione ». «Nessun attacco fermerà la determinazione degli Stati Uniti», ha detto Obama, nel trovare i colpevoli lavorando con le autorità libiche, che non hanno saputo garantire la sicurezza a Stevens. Ecco perché 200 marines sono stati mandati a Tripoli e al Cairo per proteggere le sedi diplomatiche.