Claudio Antonelli, Libero 14/9/2012, 14 settembre 2012
MA CON LA CRISI IN MEDIORIENTE RISCHIAMO LA BENZINA A 2,3 EURO
Ancor più che agli Stati Uniti Al Qaeda può costare cara al Vecchio Continente. Tensioni crescenti e puzza di guerra storicamente fanno salire i costi dell’energia. Un conflitto scatenato da Israele o subìto da Gerusalemme con un blocco anche breve dello stretto di Hormuz vedrebbe schizzare in poche ore il prezzo del barile anche a 150 dollari. Gli esperti di energia si stanno impegnando in un’analisi comparata fra l’attuale corsa dei prezzi dell’energia con quanto avvenuto nel 2008, ovvero la corsa speculativa che aveva fatto balzare il barile sino a quota 147 dollari: come Daniel Dicker descrive nel suo libro, “Oil’s Endless Bid”, la curva dei prezzi del petrolio è oggi meno simile a quella del 2008 e quasi sovrapponibile a quella delle settimane di avvicinamento alla guerra del Golfo nel ‘91. Negli ultimi cinque anni il prezzo del petrolio nei future ha segnato un netto sovrapprezzo rispetto a quello odierno. Per l’esperto Usa il mercato sta dicendo di voler scommettere su una breve interruzione, seppur molto grave, dell’offerta. Di fatto, una guerra. Dopo gli scontri in Libia del 2011 e l’uccisione dell’amba - sciatore Usa a Bengasi, sembra non restare che una guerra che coinvolga via Siria il grande nemico dell’Occidente, l’Iran. Ipotizzando un blocco del canale di Hormuz, l’economia mondiale si troverebbe di fronte a un evento senza precedenti in grado di spaccare il mondo in due; da un lato i Paesi consumatori di energia e dall’altro le nazioni produttrici di petrolio e gas. «Prendendo per buone tali premesse e con immensa tristezza per la tragedia cui andremmo incontro », commenta Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia e docente di economia a Bologna,«potremmo dire che alle prime cannonate, ancora prima della chiusura dello stretto il prezzo del barile balzerebbe di colpo a 150 dollari, portando in pochi giorni la benzina in Italia a 2,2 o anche 2,3 euro al litro». Il peggio anche se con tempistiche più lente rispetto al greggio arriverebbe dal gas, che - secondo le stime dell’esperto di Nomisma - raggiungerebbe un picco di 50 centesimi per metro cubo. In altre parole un incremento del 20% che si rifletterebbe sulle bollette degli italiani, «facendo salire il deficit energetico dagli attuali 67 miliardi (dato 2011, mentre il 2012 dovrebbe chiudere con 68) a oltre 100 miliardi: il 5,6% del Pil italiano sarebbe polverizzato dalla spesa energetica e anche le aziende, che faticosamente lottano oggi per la sopravvivenza, precipiterebbero in un default globale», prosegue Tabarelli. L’Italia, ma vale anche per buona fetta dell’Europa, si troverebbe sempre più dipendente dalla Russia. Al contrario l’evento bellico affrancherebbe gli Usa soprattutto per quanto riguarda il gas. Mentre creerebbe alla Cina la necessità di mobilitare forte liquidità, di cui dispone, per acquistare energia. «Pechino soffrirebbe notevolmente un blocco di Hormuz», conclude il docente bolognese, «ma sarebbe l’unica economia al mondo ad avere le riserve per acquistare cash su qualunque altro mercato petrolio e gas». Negli ambienti finanziari si ipotizza addirittura che Pechino si sia pre allarmato per usare le ingenti riserve auree per pagare Teheran con i lingotti invece che coi dollari. «Non escludo che l’attentato in Libia possa essere una scelta voluta per distogliere gli Usa dalla Siria e dall’Iran. In ogni caso una chiusura di Hormuz sarebbe un’ipotesi incendiaria per i prezzi del greggio e per la speculazione», spiega Massimo Siano responsabile Italia di Etf Securities, «ma lo sarebbe ancor più per il Brent. La forbice già ampia di circa 18 dollari tra greggio Usa e europeo andrebbe rafforzandosi. La Ue non ha una politica energetica adeguata e», conclude Siano, «in caso di conflitto sarebbe il continente a soffrirne di più». Primavera araba e strategie belliche di Obama oltre che i sussulti quaedisti rischiano di portare drammaticamente su i prezzi delle materie prime e finirebbero col devastare la nostra economia già in recessione.