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 2012  settembre 12 Mercoledì calendario

MONACO MINACCIA L’INDIPENDENZA


Oggi la Corte costituzionale deciderà se il patto fiscale e l’Esm, lo scudo per salvare i paesi in difficoltà, voluti dalla Merkel, violano le leggi della Repubblica Federale. Le proteste più accese giungono dalla Baviera: nessuna decisione del governo centrale può ledere i diritti di un Land, una regione.
E puntuale giunge in libreria il saggio del politologo Wilfried Scharnagl dal titolo chiaro La Baviera può farcela da sola (16,99 euro). Una proposta o, meglio, una minaccia di indipendenza, imitando la Padania di Umberto Bossi. Con una sostanziale differenza: la Padania non è mai esistita, e la Baviera è un antico stato con una tradizione secolare.
Se arrivate al suo confine vi accoglie un cartello con la scritta «Freistaat Bayern», libero stato di Baviera, con i colori della bandiera, il bianco e l’azzurro. E tutti nelle sagre, o nelle occasione ufficiali, cantano anche l’inno bavarese. La Baviera nella sua storia ha combattuto sotto tutte le bandiere, per Napoleone e contro, ha avuto un suo re fino alla sconfitta del 1918, e qui l’austriaco Hitler tenne i suoi primi discorsi. Ma sempre a Monaco e dintorni oggi i nostalgici sono meno che altrove.
Eppure la proposta di Scharnagl è solo una provocazione. I bavaresi sono gelosi della loro indipendenza culturale ma sono profondamente patrioti. La Baviera più che una Vaterland, la patria, è la loro Heimat, parola intraducibile ma che gli italiani hanno imparato a conoscere, come dire il luogo dove ci si sente a casa, che non sempre corrisponde al posto dove si è nati.
La Baviera, 70551 kmq, tre volte la Sicilia, e 15,5 milioni di abitanti, è più forte di Belgio e Olanda messi insieme, vanta un prodotto «nazionale» di 430 miliardi di euro, e in base al reddito pro capite potrebbe entrare nel G8. La sua è un’economia equilibrata tra agricoltura e grande industria, dalla Bmw alla Siemens, senza dimenticare i carri armati della Krauss Maffei, i migliori del mondo per Franz Josef Strauss, il Leone della Baviera, che da primo ministro si riteneva anche il primo commesso viaggiatore della sua terra.
La disoccupazione è del 3,7%, un sesto di quella berlinese, la criminalità è la più bassa e la corruzione forse la più elevata, tanto da conquistarsi il soprannome di «Amigosland». Corrotti ma efficienti, tanto che dal 1962 al 2008, la Csu ha ottenuto la maggioranza assoluta, ma all’ultima consultazione locale è scesa al 43% (contro il 19 dei socialdemocratici), e ha dovuto formare un governo con l’aiuto dei liberali.
Un’umiliazione e un grave pericolo. I cristiano-sociali si presentano solo in Baviera ma la percentuale è calcolata su base nazionale. Finora non ci sono stati problemi a superare lo sbarramento del 5%, ma all’ultimo voto, è scesa al 42%. Se calasse ancora di qualche punto, la Csu pur conquistando milioni di voti potrebbe restare fuori dal Bundestag. Siamo ancora nella fantapolitica, ma a Monaco si diventa nervosi e questo piega i continui attacchi alla Merkel e alla sua Cdu (partito fratello ma un altro partito). Bisogna prendere le distanze da Angela per non perdere voti.
Il desiderio di indipendenza è solo un sogno. Da sempre, la Baviera si è battuta per l’unità nazionale anche contro i propri interessi, a cominciare dalla riunificazione con la Germania Est, che ridimensionò il suo peso nella Federazione. E la Baviera versa miliardi di contributi ai Länder più poveri. Non c’è mai stata simpatia per i separatismi europei.
Nel momento di maggior fortuna della Lega, da noi Italia circolava la voce che la Baviera sostenesse Bossi per dividere l’Italia. Ne erano assolutamente convinti Saverio Vertone, e la rivista Limes. Io fui inviato in Baviera per un reportage, allora si usava. Parlai con tutti i managers, dalla Allianz alla Bmw, e mi dimostrarono che una spartizione dell’Italia, con conseguente svalutazione della lira, avrebbe danneggiato gli interessi del Land, provocando disastri in certi settori. In sostanza mi dissero che della nostra unità a loro poteva importare poco, ma tenevano ai loro Deutsche Mark. Naturalmente non convinsi nessuno. La tesi di un complotto bavarese era troppo allettante. Oggi sono preoccupati per l’euro, ma per la moneta europea non sono disposti a sacrificare la grande patria tedesca.