Denise Pardo, l’Espresso 14/9/2012, 14 settembre 2012
COME È BELLO IL MIO CERVELLO
C’è un rapporto che ha intrigato universalmente esperti di storia dell’arte e studiosi del cervello, un mistero culturale che ora, anche grazie al progresso scientifico e tecnico - microscopi e risonanze magnetiche sempre più sofisticate - si va via via dipanando. È il legame tra cervello ed estetica, la relazione tra cervello e percezione della bellezza, e tra cervello e la sua influenza sull’artista. «Un esempio? Il nesso tra la malattia mentale di Vincent Van Gogh e la sua crescente passione per i colori forti e caldi», spiega Giulio Maira, uno dei neurochirurghi più famosi al mondo, direttore dell’Istituto di Neurochirurgia del Policlinico Gemelli di Roma.
Il fascino del rapporto tra cervello ed estetica è il paradigma della passione di una vita di questo famoso medico di 68 anni, consulente della Città del Vaticano e spesso indicato come “il chirurgo del papa”. Un rapporto così articolato da poter essere anche rovesciato: il cervello non solo produce bellezza spiega Maira ma c’è bellezza nella sua stessa conformazione: «Ora che gli strumenti di analisi scientifica sono diventati più perfezionati, ci permettono di scoprire nel corso di un’indagine tecnica immagini che sembrano davvero dei quadri e che mostrano paesaggi di coralli appoggiati agli scogli su un fondale marino, meravigliosi alberi innevati sotto la luna».
Novemila interventi chirurgici al suo attivo, 45 mila visite mediche, senza contare le centinaia di operazioni e consulti in giro per il mondo, Maira racconta il lungo viaggio all’interno del cervello e il ruolo nell’interpretazione del bello. Al tema ha anche dedicato una tavola rotonda della sua associazione Athena onlus (nata per sostenere la ricerca su gravi malattie neurologiche): “The beautiful brain” il titolo, e non poteva che essere questo, sull’incontro tra scienza e filosofia, tra il seme della creazione e il segno della sua estetica. Com’è complesso il cervello («Consta di circa 30 miliardi di neuroni capaci di realizzare milioni di miliardi di connessioni») spiega il professore che ha speso l’esistenza a studiare, salvare, medicare la centrale operativa dell’essere umano dove «l’arte rappresenta una testimonianza preziosa del suo funzionamento, e in ultima istanza, dell’uomo».
Allora la domanda è: se un’opera d’arte ci appare bella e ci emoziona, fino a che punto questo è dovuto a meccanismi universali propri della visione, e in che misura è determinato invece dalle acquisizioni del nostro cervello? «La percezione non è un processo passivo: è il sistema nervoso che costruisce ciò che vediamo, ed è il cervello che attribuisce un significato ai segnali che riceve per permetterci di acquisire nuove conoscenze e fare nuove esperienze».
Infatti l’esperienza estetica che si realizza nel creare o nell’essere spettatore di un’opera d’arte coinvolge verosimilmente molte funzioni cerebrali, le funzioni visive, quelle acustiche, la memoria, la capacità di apprendimento, le aree coinvolte nella regolazione degli stati emotivi, i mediatori chimici del piacere o della paura. Qualche anno fa è stato Semir Zeki, professore di neurobiologia all’University College di Londra (al quale Maira ha conferito il premio Roma) a fondare la neuroestetica, studio scientifico delle basi neurologiche coinvolte nella creazione e nella contemplazione di un’opera d’arte (tra le sue varie pubblicazioni anche un libro scritto insieme al pittore Balthus). «È proprio grazie agli esperimenti condotti da Zeki e dal suo collega Hideata Kawabata su persone sottoposte a risonanza magnetica», spiega Maira,«che si è dimostrato in che modo durante la visione di quadri descritti come belli si attivi un’area della corteccia orbitofrontale mediale, nota per il suo coinvolgimento nei meccanismi di ricompensa» (in pratica, i centri nervosi del piacere finale).
«La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le contempla»: Maira cita il filosofo scozzese David Hume ricordando che il cervello riceve informazioni dall’esterno tramite i sensi. Ma che, in contemporanea, le interpreta basandosi su informazioni già presenti nella memoria. «Quando guardiamo un quadro noi inseriamo un’esperienza visiva in un contesto cerebrale. Acquisiamo una conoscenza e la elaboriamo in funzione di altre conoscenze antecedenti. L’arte rappresenta una delle più raffinate modalità di acquisizione di conoscenze. Vedere è il risultato di una trasformazione del mondo esterno in un nostro mondo percettivo in cui giocano un ruolo importante la nostra precedente conoscenza, la nostra cultura e persino il nostro stato d’animo». Naturalmente nell’esperienza estetica, bisogna sempre considerare la compartecipazione di due aspetti, uno congenito e uno acquisito. Come spiega il neurochirurgo: «La capacità di registrare la bellezza è una caratteristica ereditata del cervello, ma nel corso della nostra vita quello che percepiamo come bello può variare a seconda del contesto, delle mode, ed è quindi sempre condizionato dalla cultura e quindi mutevole nel tempo». A volte, l’influenza del funzionamento del cervello sul modo d’esprimersi dell’artista è stato straordinariamente evidente. In alcuni ritratti a matita di Leonardo da Vinci il tratteggiato ha quell’inclinazione, dall’alto a sinistra e in basso a destra, tipica di chi è mancino.Così sia l’acquisizione dell’informazione visiva sia la sua elaborazione possono essere alterate da cause patologiche. Come nei quadri di Claude Monet dove l’evoluzione del modo di raffigurare la luce dipende dall’avanzare della sua cataratta. Come le modificazioni dei toni nei quadri senili di Tiziano e Rembrandt: sono chiaramente riferibili ad alterazioni del sistema visivo. «In un certo senso l’arte può diventare lo specchio di come funziona il cervello in generale, ma anche di quello di un pittore con la sua cultura, le sue malattie, le sue menomazioni».
Pure gli artisti, Maira continua il racconto, hanno subìto il fascino del cervello tanto da farne l’oggetto di studi, per esempio i disegni anatomici di Leonardo, perfino quando le dissezioni del corpo umano non erano permesse. Non solo. Nel 1990 un articolo del neurologo Frank Meshberger sulla prestigiosa rivista scientifica “Journal of American Medical Association” arriva a sostenere che l’affresco “La Creazione di Adamo”, figura centrale della volta della Cappella Sistina, affidata da papa Giulio II nel 1508 al pennello di Michelangelo, riproduca l’immagine del cervello umano. «Apparendo come una nuvola che avvolge Dio per segnalare che Dio ha voluto trasmettere all’uomo la capacità cognitiva, vista come il più straordinario dono fatto all’umanità».
Un dono strutturalmente bello per la complessità delle funzioni che svolge e per la sua stessa conformazione: «La neurochirurgia usa i microscopi, i laser, i micronavigatori che ci fanno entrare nei meandri del cervello. Si perde così la connotazione della fredda anatomia a fronte di particolari di aree cerebrali dalla bellezza e dalla suggestione tali da superare i dipinti dell’astrattismo o i più bei paesaggi in natura», rivela Maira che ha un sogno, potenziare così tanto ricerca e prevenzione per arrivare perfino ad eliminare la neurochirurgia.«Si spalancano davanti ai nostri occhi orizzonti notturni rischiarati dalla luna, strie luminose, una rete d’oro in un fondo marino, fuochi d’artificio contro un cielo scuro: rappresentano l’organizzazione delle nostre strutture neuronali. Ci sono anche fiamme gialle e campi fioriti: sono le sequenze cellulari dell’ippocampo e del cervelletto ». Come è bello il cervello!