Letizia Gabaglio, l’Espresso 14/9/2012, 14 settembre 2012
Assedio all’ALZHEIMER L’Alzheimer è un male sottile e devastante: il declino delle funzioni del cervello avviene lentamente, e quando i sintomi si fanno evidenti gli strumenti a disposizione per rallentarne l’avanzata sono pochi, se non nessuno
Assedio all’ALZHEIMER L’Alzheimer è un male sottile e devastante: il declino delle funzioni del cervello avviene lentamente, e quando i sintomi si fanno evidenti gli strumenti a disposizione per rallentarne l’avanzata sono pochi, se non nessuno. Ed è una bomba ad orologeria se si pensa che questa malattia interessa in Italia 600 mila persone, 10 milioni in Europa e 25 in tutto il mondo, destinate a raddoppiare entro il 2030 quando soltanto nel Vecchio Continente vivranno circa 14 milioni di malati; e a crescere ancora, tanto che nel 2050 si stima che soffriranno di una qualche forma di demenza più di 115 milioni di persone. E il fatto, drammatico, è che una cura ancora non c’è. Ma le speranze, invece, ci sono. Ne è convinto Paolo Maria Rossini, ordinario di Clinica Neurologica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, che da 15 anni studia, insieme ai ricercatori del dipartimento di Fisiologia della Sapienza Università di Roma e dell’Università di Foggia, le oscillazioni prodotte dai neuroni di una parte posteriore del cervello, i lobi occipitali: il cosiddetto ritmo alfa. Secondo il neurologo, infatti, si tratta di una misura accurata della salute cerebrale e può essere quindi usata come campanello d’allarme che segnali quale persona sia a rischio di sviluppare nel giro di pochi anni la malattia. E, se è vero che l’Alzheimer interessa principalmente le persone anziane, ci sono sempre più prove del fatto che la demenza inizi prima dei 65 anni, dopo questa età la probabilità di svilupparla raddoppia ogni cinque anni. «È come se i neuroni nel cervello facessero delle continue riunioni di condominio», spiega Rossini: «A seconda di quello che c’è da fare, cioè del compito che dobbiamo svolgere, si riuniscono formando legami di volta in volta diversi. E lo fanno nel giro di frazioni di secondo. Il ritmo alfa ci racconta tutto questo». È quella che si chiama plasticità neuronale, che l’Alzheimer spegne gradualmente a causa dell’accumulo di un prodotto di scarto, l’amiloide, e della crescita di processi di infiammazione. «Quando avremo i farmaci dovremo decidere a chi somministrarli, e dovremo farlo prima che i sintomi siano evidenti, così da aumentare la loro efficacia», spiega il neurologo. È partita così, in tutto il mondo, la caccia a un esame che sia affidabile, non invasivo - si deve fare a persone che stanno ancora bene - ma soprattutto economico, visti i tempi di magra, e disponibile in tutti i centri. I risultati di più di 35 studi condotti negli ultimi anni, che Rossini ha presentato al congresso Afar (Associazione Fatebenefratelli per la Ricerca) che si è tenuto a Brescia dal 10 al 12 settembre, dimostrano che questo strumento c’è: è l’analisi del ritmo alfa attraverso elettroencefalogramma. «Nel corso degli anni abbiamo potuto raccogliere una grande mole di dati che indica come la diminuzione del ritmo alfa sia legata allo sviluppo della malattia, un andamento che ci dice qualcosa anche su quando la patologia si manifesterà: più rapido è il declino delle oscillazioni, più celere è l’esordio dei sintomi», spiega ancora il neurologo. Una relazione trovata in più dell’80 per cento dei casi. «La tecnica che abbiamo sviluppato è molto sofisticata, ma si basa sull’encefalogramma e su strumenti Web facilmente accessibili ai centri clinici che dovrebbero solo essere messi in rete per centralizzare poi l’analisi dei risultati», conclude Rossini.: «In questo modo, con circa 20 euro a persona - tanto costa il test - si potrà garantire un esame predittivo importante». La faccenda dei costi è un tema cruciale, visto che oggi circa due terzi dei malati vive in Paesi a medio o basso reddito, dove si pensa si registrerà il più alto numero di nuovi casi. E visto, anche, che sia nei Paesi europei che del nord America i costi sono altissimi: in totale per le demenze sono stati investiti miliardi di dollari nel 2010, dove circa il 70 per cento della spesa avviene nei Paesi dell’Europa occidentale e del Nord America.