Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  settembre 14 Venerdì calendario

Gli insegnanti devono cambiare [Colloquio Con Francesco Profumo] «Penso a una scuola open space, senza aule né corridoi

Gli insegnanti devono cambiare [Colloquio Con Francesco Profumo] «Penso a una scuola open space, senza aule né corridoi. Dove studenti e insegnanti lavorano insieme in modo collaborativo, sfruttando le possibilità offerte da Internet e dalle tecnologie di comunicazione. Una scuola aperta tutto il giorno, disponibile alle contaminazioni con il territorio: scuola vera e propria al mattino, centro sportivo e di aggregazione al pomeriggio, centro di formazione per adulti alla sera». Il ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca Francesco Profumo descrive così la scuola italiana di domani, anche alla luce di quanto emerso in un convegno sulla trasformazione degli ambienti di apprendimento organizzato a Roma dall’Indire. Un’idea ambiziosa, considerando le tante carenze strutturali della scuola italiana. «Ciò di cui la scuola ha bisogno oggi è proprio un progetto di sviluppo per il futuro, con scadenze e momenti stabiliti di valutazione. Il piano naturalmente va tracciato sulla base delle esigenze delle singole realtà: le situazioni critiche dovranno avere un programma ad hoc, attento ai dettagli del caso. Dobbiamo comunque mantenere l’attenzione a un percorso di formazione più che di informazione: già oggi si fa molto per aiutare i ragazzi a sviluppare senso critico e capacità logico-deduttive. Sul modello di governance invece c’è da riflettere: la scuola italiana ha notevoli capacità e insegnanti di grande livello e ha sviluppato negli anni sperimentazioni molto efficaci. Però tende a chiudersi, ha difficoltà a trasferire esperienze, a condividere percorsi. Bisogna superare questo limite». La scuola che lei ha in mente impone grossi cambiamenti al lavoro degli insegnanti. Come ci si arriva? «L’aggiornamento dei docenti è un punto centrale del progetto, su cui dovremo lavorare molto. Bisognerà pensare a nuove modalità di formazione, per esempio di tipo individuale (autoformazione) o cooperativo, tra pari. Il primo stimolo a cambiare, però, verrà dagli studenti e dalla loro evoluzione». *** Evviva, è sparita la scuola– Niente aule, banchi, campanella. Studenti al lavoro in piccoli gruppi. Mai senza iPad. È una realtà nel nord Europa. Ora arriva anche da noi Fuori è solo un sofisticato edificio del nuovo quartiere di Ørestad, alla periferia di Copenaghen: un parallelepipedo di vetro tutto finestre, ciascuna con la sua anta colorata. Dentro invece, l’Ørestad Gymnasium (l’equivalente di un nostro liceo) è una rivoluzione. Niente aule anguste, spigoli o corridoi. Qui tutto è aperto, ampio, luminoso e a dar forma allo spazio ci pensano pochi elementi. Le scalinate, per esempio: una curva che sale come sospesa, con il corrimano fatto apposta per scivolarci su, e una dritta, a gradini così larghi da ospitare tavoli con sedie. Poi le vetrate, a chiudere le (poche) aule più tradizionali, e gli arredi, come le librerie usate per creare nicchie per lo studio. Non è l’intervallo, ma i ragazzi sono ovunque: seduti ai tavoli o alle postazioni di montaggio audio e video, in piedi a discutere tra loro, semisdraiati sui cuscini verdi o arancio delle aree relax. Non si vedono un foglio di carta o una matita a pagarli oro: qui tutti hanno il portatile o un tablet e con quello scrivono, leggono, disegnano, lavorano. Sparito il modello classico di lezione e l’idea di aula come casa-base, a Ørestad si fa scuola in tutt’altro modo. Non ci sono classi stabili, perché i ragazzi hanno un certo grado di autonomia nello scegliere il percorso didattico, e ogni argomento è trattato in modo attivo: l’insegnante lo introduce in aula, poi assegna degli incarichi (fare ricerche, rispondere a domande, risolvere un problema, elaborare un progetto) che i ragazzi svolgono altrove, lavorando sempre in piccoli gruppi. Torneranno in aula dopo un’ora o due, per confrontarsi con il prof. E finita la scuola l’istituto rimane aperto: fino alle 21 è un luogo tranquillo e attrezzato per fare i compiti, chiacchierare con gli amici, leggere un libro. Ecco, la scuola del futuro potrebbe essere proprio questa, stravolta nei metodi e nell’architettura, e non solo in Danimarca o in qualche altro avanzato Paese del Nord, ma anche da noi. Ci crede fortemente il ministero dell’Istruzione, che ha messo a disposizione 200 milioni di euro per la costruzione di scuole completamente innovative. Sommati ad altre risorse provenienti dall’esterno (in particolare Inps, Inail e Cassa depositi e prestiti) per un totale di 2 miliardi di euro, questi fondi dovrebbero bastare per circa 150 nuovi edifici. Il bando per l’attribuzione dei fondi uscirà in autunno, appena saranno pronte le nuove linee guida per l’edilizia scolastica (ferme ormai al 1975), redatte sulla base di esperienze modello già attive, soprattutto all’estero. Perché una cosa è sicura: la rivoluzione è appena cominciata, ma sta investendo tutto il mondo. E tutti i livelli scolastici: dalle scuole d’infanzia alle superiori. «È un cambiamento che viaggia su due fronti, con l’innovazione pedagogica che guida quella architettonica», spiega l’architetto Alessandro Rigolon, ricercatore negli Stati Uniti e tra gli esperti che si stanno occupando delle nostre linee guida: «Il modello industriale di scuola, con bambini e ragazzi "bloccati" nei banchi e costretti ad apprendere tutti la stessa cosa nello stesso modo e allo stesso tempo, senza confrontarsi con gli altri, non regge più. Oggi si riconosce che ciascuno ha il suo modo e il suo tempo di imparare e che bisogna lasciare spazio alle diverse intelligenze dei singoli, alla pratica manuale, al contatto con i compagni». I mantra della nuova didattica sono tre: personalizzazione, laboratorio e peer education (educazione tra pari), cioè studenti che imparano da altri studenti. «A livello architettonico, questo significa eliminare tutto ciò che sa di costrizione per far posto a grandi spazi aperti multifunzionali, a postazioni per il gioco, il lavoro pratico e gli esperimenti, a tavoli mobili che si possono agganciare o sganciare a piacere», aggiunge l’esperto. Al liceo di Ørestad l’accordo tra esigenze didattiche e architettura è perfetto, come lo era nel suo antenato diretto, la scuola primaria Hellerup di Gentofte, sempre in Danimarca, inaugurata nel 2002. La struttura è tanto squadrata all’esterno quanto articolata all’interno, con scale, ponti, piattaforme sospese, balconi che la fanno assomigliare a una versione Ikea di Hogwarts, la scuola di Harry Potter. Qui però non c’è niente di sinistro: solo grandi opportunità di movimento, con i bambini che possono correre, saltare, perfino andare in monopattino. Modello analogo anche per la scuola elementare TelefonPlan del consorzio Vittra di Stoccolma, in Svezia: un paradiso di design contemporaneo tutto a misura di bambino. Aree comuni con pouf colorati sotto la sagoma stilizzata di un albero, tavoli per lo studio che ricordano quelli da picnic, un’enorme lavagna per scrivere e disegnare a piacere, scale che diventano sedili e divanetti. E, di nuovo, bambini apparentemente a zonzo, ciascuno con il portatile sempre aperto davanti. Elena Mosa, ricercatrice dell’Indire (Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica) ha visitato la TelefonPlan nell’ambito di un’indagine sugli istituti europei dalla didattica più innovativa. E proprio questa scuola, insieme all’Ørestad Gymnasium, è stata segnalata dai ricercatori tra i modelli per la scuola italiana del futuro. La prima impressione? «Una grande libertà, ma senza confusione», racconta Mosa: «Per esempio: manca la campanella, ma i bambini sanno sempre che cosa fare e dove andare». Anche qui, come nel liceo danese, gli alunni hanno un primo contatto con l’insegnante appena arrivati: poi si disperdono e si mettono al lavoro in gruppo, anche se possono smettere quando vogliono, magari per fare merenda o riposare un po’. «Il risultato», spiega la ricercatrice: «È che i bambini si sentono a casa, padroni di un ambiente in cui si muovono con sicurezza, che trovano piacevole e che imparano a rispettare». La scuola completamente open space, comunque, non è l’unico modello innovativo possibile. «In altri casi, un po’ più diffusi, le aule rimangono, ma da rettangolari cambiano forma (per esempio a L) per facilitare la suddivisione dello spazio in aree differenti con finalità differenti: lavoro di gruppo, attività individuali, laboratori, spiegazioni frontali», spiega Rigolon. Succede già da diverso tempo negli edifici dell’olandese Herman Hertzberger: nei Paesi Bassi ce ne sono diversi, ma l’architetto ha firmato anche il progetto dell’Istituto De André alla periferia di Roma, un nuovo istituto con scuola elementare e media che inizierà le sue attività a settembre. E a volte la rivoluzione parte anche senza il contributo dell’architettura. È il caso del progetto Senza Zaino, nato una decina d’anni fa in una scuola primaria di Lucca e ormai portato avanti da una rete sempre più fitta di elementari e medie soprattutto toscane, ma non solo. Anche senza toccare i muri, le aule di questi istituti sono profondamente riorganizzate: niente banchi in fila, ma isole per lavorare con i compagni, zone-laboratorio con computer, strumenti per il disegno o la musica, materiale per piccoli esperimenti scientifici e infine un’agorà comune, dove ci si siede in cerchio intorno all’insegnante che spiega. «Senza Zaino, perché lo zaino serve per affrontare luoghi impervi, mentre la scuola deve essere ospitale e accogliente. E perché pensiamo che in aula ogni bambino debba poter trovare gli "attrezzi" del suo mestiere, senza portarseli ogni giorno da casa». Parola di Marco Orsi, dirigente scolastico e anima del progetto. Così, in classe, i bambini hanno a disposizione tutto quello che serve per le attività del giorno: oggetti di tutti, quindi ciascuno deve averne rispetto e prendersene cura. Insomma qui, come a Stoccolma o a Copenaghen, non si imparano solo le scienze, la matematica e la grammatica, ma anche valori come la responsabilità, l’autonomia, la cooperazione. «L’innovazione non è solo nello spazio o nell’organizzazione, ma anche nell’educazione, nelle relazioni, nella cultura di base», conclude Elena Mosa. Molti di questi temi erano cari già a Maria Montessori, ma oggi trovano nuove possibilità di entrare nella scuola e rinnovarla, anche grazie al contributo fondamentale delle nuove tecnologie. Senza la possibilità di un registro elettronico, di una classe virtuale, di tutorial on line, di video e audio didattici, esperienze come quelle danesi o svedesi sarebbero se non impossibili di sicuro molto più complicate.