Enzo Golino, l’Espresso 14/9/2012, 14 settembre 2012
Parola di SCALFARI io Viaggio Memoria. Ricerca Esperimento Dialogo. Sono concetti e parole chiave che guidano e realizzano la vicenda creativa di Eugenio Scalfari, oggi riassunta nel volume "La passione dell’etica", collana I Meridiani Mondadori
Parola di SCALFARI io Viaggio Memoria. Ricerca Esperimento Dialogo. Sono concetti e parole chiave che guidano e realizzano la vicenda creativa di Eugenio Scalfari, oggi riassunta nel volume "La passione dell’etica", collana I Meridiani Mondadori. Con le due terne individuate da Alberto Asor Rosa - storico della letteratura, suo il saggio introduttivo - giornalismo, saggistica, narrativa marcano l’identità di una immaginazione alimentata da «una formidabile curiosità intellettuale». Per di più, Scalfari è narratore naturale: le sue qualità comunicative si esercitano in affabili colloquialità arricchite da aneddoti, in abilità di polemista, in articoli di politica, economia, costume anche su eventi d’oltreconfine. E benché la formula sia, a suo dire, «forse troppo semplificatrice», Asor Rosa conia l’espressione «articoli da direttore» allo scopo di precisare che la carica «della tesi da dimostrare e da sostenere è fortemente rafforzata dall’autorevolezza della figura editoriale che se ne fa portatrice». L’articolo scalfariano, insomma, è «un vero e proprio genere giornalistico nuovo», «un mix estremamente sapiente di analisi, informazione, intrattenimento e giudizio politico e civile». Non era facile racchiudere in una breve ma significativa antologia più di mezzo secolo di attività giornalistica costruita sulla base di migliaia di articoli. Soltanto 88 sono i testi scelti: 15 pubblicati sull’"Espresso", 1963-1975, l’anno in cui Scalfari ne diventa il direttore (dopo Arrigo Benedetti, insieme al quale aveva contribuito a fondarlo) e l’anno in cui l’ha lasciato per fondare "la Repubblica", qui presente con 73 dei suoi articoli, 1976-2012. Ma è un peccato che - a causa delle pur necessarie e inevitabili rinunce - manchi qualcuna delle rubriche quindicinali, citate qua e là, che scrive per "L’Espresso", ultima pagina, con il titolo "Il vetro soffiato", dove a volte spunta una vena ironica e divertita. L’antologia si apre con l’articolo "Lettera ai lettori per l’assunzione della direzione" ("L’Espresso", 9 giugno 1963) e si chiude con l’articolo "Da Pacelli a Ratzinger. La lunga crisi della Chiesa" ("la Repubblica", 27 maggio 2012). Per chi volesse ampliare consultazione e conoscenza, il Gruppo Editoriale L’Espresso ha pubblicato nel 2004 tre volumi di articoli scalfariani su "la Repubblica" (1976-2004) e due di quelli usciti su "L’Espresso" (1955-2004). Sono, queste giornalistiche, pagine capitali contro l’Italia della corruzione, del malaffare, della cattiva politica, contro «l’Italia alle vongole» (Vittorio De Caprariis) cialtrona e approssimativa, pagine ispirate a una ideologia liberaldemocratica nelle cui radici culturali Scalfari si riconosce. Sembrano sequenze dettate da un pessimismo irriducibile, da una tetraggine irrimediabile, sentimenti dettati dallo scoramento che inducono in qualunque cittadino appena consapevole di far parte di una comunità, dei suoi aspetti nobili e ignobili. Eppure, in questo pessimismo della ragione che sa riconoscere e tenere a bada cinismi di basso conio, mentalità e scrittura - in parte dettate da istinti solari - non indulgono alla cupezza, al disfattismo. C’è sempre un sentiero, magari poco visibile, che indica quanto valga la pena di esistere e resistere. Nonostante tutto. In qualche occasione, afflitto dal dover scrivere di argomenti politici per come è ridotta da noi la politica, rinuncia di proposito al suo compito e trova sollievo nel trattare questioni letterarie, magari occupandosi di un libro, di un autore. È capitato, per esempio, con Milan Kundera. Insieme al "Racconto autobiografico" che sostituisce l’abituale Cronologia prevista nella collana, gli articoli formano un blocco unitario dove si manifestano rimandi ideali da un settore all’altro. E a ben riflettere, il volume mondadoriano dimostra la presenza di un intellettuale militante a largo raggio in tutto l’arco delle sue attività, testimone del secondo Novecento e degli anni che hanno inaugurato il Duemila. Il racconto inizia dall’infanzia, arriva ai giorni nostri animato da passioni private e pubbliche, da una intimità che riesce a trasferirsi senza stridori in una dimensione collettiva, da una capacità di ritrattista sulla linea del romanzo-verità che raggiunge il suo massimo livello con Giulio Andreotti: «Personaggio inquietante e indecifrabile, l’incrocio accuratamente dosato d’un mandarino cinese e d’un cardinale settecentesco», «occhi leggermente obliqui», «labbra sottili», «testa incassata fra le spalle ingobbite», «colorito giallognolo», «un enigma vivente». Era stato Angelo Guglielmi, uno dei teorici del Gruppo 63, a registrare carte alla mano le qualità letterarie di questa scrittura giornalistica. Aveva infatti inserito Scalfari (e Luigi Pintor) nella sua antologia dei narratori del dopoguerra, "Il piacere della letteratura" (Feltrinelli, 1984), motivando così la sua decisione: «Una lingua lucida e ironica, severa e commossa, tagliente e comprensiva che nel raccontare la realtà quotidiana certo nella sua attualità immediata era come se la dotasse di memoria (come si fa quando si vuole costruire un personaggio)». Gli argomenti degli articoli, utili soprattutto per le generazioni più giovani che non hanno vissuto quegli anni, riguardano episodi d’incisivo rilievo - eccone alcuni - non solo per la nostra storia. E sono anche una carrellata non convenzionale di personaggi decisivi: la Guerra dei sei giorni e la questione israeliana, il tentativo di golpe (il Piano Solo) del generale Giovanni De Lorenzo, il referendum sul divorzio, le critiche a Gianni Agnelli ("L’Avvocato di panna montata"), l’intervista a Guido Carli dopo che si è dimesso da governatore della Banca d’Italia, nascita di "la Repubblica", l’intervista a Pietro Nenni, le Brigate rosse e il rapimento di Aldo Moro, lo scandalo P2 e Licio Gelli, l’intervista a Enrico Berlinguer, Luciano Lama e il revisionismo sindacale, Italo Calvino amico dai banchi di scuola, il nuovo corso del Pci di Achille Occhetto, Silvio Berlusconi entra alla Mondadori scatenando la guerra di Segrate, Francesco Cossiga al Quirinale, il caso Gladio, Tangentopoli e Mani Pulite, Bettino Craxi e la deriva del Psi, Berlusconi scende in campo, dialogo a tre con Mastroianni e Gassman, il cardinale Carlo Maria Martini, Leopoldo Pirelli, Che cosa significa oggi essere illuministi, Laici e Nichilisti, il ricordo di Carlo Caracciolo, la Fiat e Marchionne, il governo tecnico di Mario Monti, la lunga crisi della Chiesa. Il catalogo è questo, qui presentato ovviamente in parte assai esigua. Ma di altrettanto interesse è il resto degli 88 testi scelti (per non dire di quell’immenso giacimento al quale sono stati attinti). Un grande banchetto con tante portate, apparecchiato anche per gli storici presenti e futuri che vorranno disporre di ciò che ha raccontato Scalfari all’insegna di un impegno esistenziale, oggetto pure dei suoi libri, sei pubblicati nel Meridiano, tra i quali "La ruga sulla fronte", il romanzo che dopo "Il labirinto" sancisce senza equivoci la vocazione narrativa dell’autore. Protagonista è Andrea Grammonte, una sorta di controfigura romanzata di Gianni Agnelli come qualcuno ha detto, erede di una grande impresa familiare, spettatore annoiato di se stesso, vittima di un arresto affettivo e di un intreccio nevrotico tra l’infantile paura di soffrire e il bisogno di sterilizzare i sentimenti per conquistarsi una protettiva aridità. A nulla valgono per modificare questa condizione il tardivo matrimonio e la paternità. "La ruga sulla fronte" è l’epicedio, il lamento funebre di una civiltà. Simbolicamente, riassume un secolo di "old economy" attraverso squarci di storia italiana dal prefascismo al centrosinistra e lampi di amori, non amori, disamori, quasi amori. La frantumazione della cronologia è assecondata da un movimento narrativo tipicamente novecentesco che agisce tra passato e presente, mima il monologo interiore e la presa diretta del reportage, cadenza la prosa variando i tempi verbali, mutando le prospettive temporali. Adotta insomma gli strumenti necessari a variare, pur rispettandone le fondamenta, il canone tradizionale. È un punto d’arrivo il romanzo, una svolta coerente con il lungo itinerario scalfariano tuttora in atto, irrobustito da sensibilità filosofiche radicate nel pensiero meridionale, sostiene Asor Rosa. Come le sue passioni, i suoi affetti. Tanto da chiedersi se Scalfari non sia «un intellettuale meridionale prestato al Nord». La «solidissima base umana» è il principio della «humanitas» che lo distingue e che mostra l’impronta - il letterato Asor Rosa ne converrà - di quel che si potrebbe definire, alla maniera di un poeta, Umberto Saba, «la calda vita».