Gianni Marsilli, Il Fatto Quotidiano 11/9/2012, 11 settembre 2012
AUSTERITY HOLLANDE PAGANO RICCHI E POVERI
Parigi
Lo specchio è sempre lì, oltre Reno. Sarkozy ci vedeva ogni mattina l’immagine virtuosa di Angela Merkel, Hollande ci vede piuttosto i tratti volitivi di Gerhard Schröder. Un decennio dopo la Germania, la Francia – ha detto il presidente – si appresta a una stagione di “riforme”. Quella del cancelliere si chiamava Agenda 2010 e riorganizzò il mercato del lavoro e il welfare: gli costò il posto, ma oggi la nazione ringrazia pressoché unanime.
QUELLA di Hollande è ancora una bozza, ma si è ben capito che va nella stessa direzione: lui spera che nel 2017, anno di scadenza dell’affitto dell’Eliseo, “in Francia si viva meglio che nel 2012”. Per arrivarci, d’ora in poi sarà questione di “rotta e ritmo”. D’ora in poi, appunto: perché il quinquennato di François Hollande, in verità è cominciato domenica sera su TF1, tramite intervista televisiva con la bionda Claire Chazal, gran sacerdotessa del Tg delle 20. Da maggio a domenica, quattro mesi di niente o quasi niente. Urgeva una rotta, e finalmente l’ha tracciata, seppur per sommi capi. Urgeva un ritmo, e ha promesso di fornirlo. Chi vivrà, vedrà.
Il pezzo grosso delle riforme, da avviare fin dal 2013, si chiama mercato del lavoro. Hollande non ha osato parlare di “flessibilità”, parola da sempre bandita dal vocabolario della gauche. Ha preferito il termine “souple”, ovvero elastico. Flessibile, si direbbe nel resto del mondo. Ma il senso è quello. Sul come fare, il presidente è stato più vago. Ha affidato alle parti sociali, sindacati e padronato, il compito di trovare un’intesa “vantaggiosa per tutti”. Per ridurre il costo del lavoro, ha accennato a una riduzione del peso fiscale che grava sui salari, ma non ha specificato. Per rassicurare la sinistra e i sindacati, ha spezzato una lancia in favore della “sicurezza dei lavoratori”, ma non ha dettagliato.
È stato invece più esplicito su quel che concerne le questioni di bilancio. Non ha parlato di “austerità”, altra parola sacrilega, ma non ha dissimulato “la gravità eccezionale della crisi” e quei 30 e passa miliardi che bisogna trovare per cominciare a rimettere i conti in equilibrio. Dieci li troverà risparmiando sulla spesa pubblica, altri dieci tartassando le imprese (le grandi e i loro benefici, non le piccole e medie, ha promesso), e l’ultimo terzo chiedendo uno sforzo “patriottico” ai contribuenti (i più ricchi, in linea di massima quelli che guadagnano più di 150mila euro l’anno). Per i “due o tremila” individui che guadagnano più di un milione l’anno, ha confermato la purga annunciata di un tetto del 75 per cento di imposizione fiscale, ma “solo in via eccezionale, uno o due anni, poi vedremo”.
HA INCASSATO volentieri le precisazioni di Bernard Arnault, che vuol diventare belga ma, sostiene con impassibile faccia tosta, continuare a pagare le tasse in Francia. Va registrata una novità di rilievo sul piano della cultura politica : ci pare che sia la prima volta che un esponente socialista francese (all’occasione il più alto in grado) parla della riduzione del deficit come risultato di una “convinzione” e non di un “obbligo” imposto da altri : la crisi, Bruxelles, la Merkel... Diciamo così: il discorso di domenica sera è stato certamente più apprezzato dall’ala “riformista” del suo governo (Ayrault, Moscovici) che da quella più radicale (Montebourg , o l’alleato parlamentare Melenchon che denuncia l’avvi