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 2012  settembre 13 Giovedì calendario

LA DOTTRINA MCDONALD’S

& COCA-COLA

La “teoria degli archi d’oro” pare ancora reggere al tempo e alla complicazione del mondo. Nel 1999 l’editorialista e tre volte Premio Pulitzer americano Thomas Friedman enunciò che “non c’è mai stata una guerra tra due paesi dove sono presenti McDonald’s”.

La “dottrina” dell’azienda marchiata due archi a formare una M è stata più volte messa in discussione (invasione di Panama da parte degli Usa nel ‘89 e soprattutto i raId Nato sulla Serbia nel ‘99) ma simbolicamente resiste all’usura degli accadimenti.

E, accompagnandosi alla bevanda che meglio si coniuga con il fast food, la Coca-Cola, rafforza la percezione idealizzata e semplificata dei prodotti veicolo della globalizzazione: Coke e panino invadono il mondo pacificato.

Perché ormai solo Corea del Nord e Cuba non importano ufficialmente la bevanda di Atlanta. E se Iran e Venezuela la demonizzano come liquido corruttore che scorre dall’Impero del male a Stelle e Strisce, solamente la Bolivia ha deciso di bandire il soft drink Usa e sostituirlo per legge con prodotti locali.

Ormai solo l’Africa subsahariana e una parte del Medio Oriente è ancora McDonald’s free, e popolata di prodotti alternativi alla Coca-Cola commercializzati per contrastare il dominio del gusto unificato e risvegliare l’orgoglio papillare arabo.

IN QUESTI GIORNI è caduto uno degli ultimi baluardi che resistevano al caramello frizzante americano: dopo sessant’anni il regime militare birmano ha dato l’ok all’introduzione della Coca-Cola, ultimo atto del processo di pacificazione del paese passato per la liberazione del Premio Nobel Aung San Suu Kyi dai decennali arresti domiciliari e per la sua elezione in Parlamento. Ora arriva, a suggellare il cambiamento di politica e d’epoca, la Coke. Che già era presente nel paese, ma non importata ufficialmente.

Come accade del resto negli altri Stati (guidati praticamente tutti da regimi, d’ispirazione più o meno religiosa o militare) dove non c’è un distributore diretto della bevanda analcolica. Bottigliette di Coca-Cola si trovano a Teheran e nelle altre città della teocrazia islamica, ma anche in Siria, in Iraq, in Libia o in Congo, in Somalia, in Angola - importata, soprattutto nell’Africa subsahariana da spregiudicati imprenditori libanesi che soddisfano la domanda di gusto globale.

Più complicato per l’azienda di hamburger con sede a Oak Brook (Illinois ) penetrare in alcuni mercati che per la carne hanno tabù e regole (MCDonald’s ha appena aperto un ristorante vegetariano in India: un miliardo e cento milioni di abitanti, mercato in espansione del fast food, Coca-Cola compresa).

Ma tempo passerà prima che i due archi d’oro svettino nelle città rinfrescate dal vento della primavera araba, un tempo assai più lungo di quello che trascorse dalla caduta del più famoso dei muri mondiali, nell’89 a Berlino, all’arrivo dell’armamentario fast food nell’ex Cortina di ferro comunista. Nell’Est Europa c’era un’ideologia a frenare l’espansione, nel Mondo Arabo c’è un oltranzismo religioso che rigoglie e che le rivoluzioni anti-dittature ha portato prepotentemente in superficie.

La penetrazione del panino imbottito di carne nei mercati mediorientali ha avuto il primo impulso dalla prima guerra all’Iraq, agli inizi degli Anni Novanta, e solo la presenza dei GI’s, i fanti statunitensi, ha reso quotidiana l’immagine di McDonald’s. Ma già la guerra in Afghanistan e Iraq non ha introdotto i fast food nelle nazioni dove Bush voleva esportare la democrazia. Qui piuttosto sono arrivati altri prodotti, bellici: i droni, gli aerei senza pilota guidati dal Pentagono che scovano e uccidono i terroristi (e anche parecchi civili). E presto i droni voleranno anche sulla Libia, a caccia di nuovi nemici della “dottrina McDonald’s”.