Andrea Bocconi, Il Fatto quotidiano 14/9/2012, 14 settembre 2012
Siddharta, 81 “reincarnazioni” in novant’anni È appena arrivata in libreria una nuova edizione di Siddharta di Herman Hesse
Siddharta, 81 “reincarnazioni” in novant’anni È appena arrivata in libreria una nuova edizione di Siddharta di Herman Hesse. Lo scrittore e psicoterapeuta Andrea Bocconi, autore di India formato famiglia (Guanda) ne ripercorre la lunga e fortunata vita. E ottantuno! È il numero delle edizioni del Siddharta per Adelphi, dal ’73 a oggi. Herman Hesse ne sarebbe sorpreso? Di certo ne hanno goduto gli eredi. Ma a queste dovremo aggiungere tutte quelle di Frassinelli, dall’uscita in Italia nel 1945. In Italia non esiste un long seller che possa stare alla pari di questo piccolo, prezioso romanzo. Per tantissimi anni mi è piaciuto vedere il libro sempre nelle classifiche della narrativa straniera più venduta, mai al primo posto, ma costante nella diecina. Ora Adelphi, a 50 anni dalla morte dello scrittore e a 90 dalla prima edizione tedesca, festeggia con un Siddharta extralarge, con mole raddoppiata da immagini, lettere e pagine di diario dell’autore, ma anche commenti di scrittori e critici. La bella traduzione di Massimo Mila resta. Il libro Hesse lo scrive a 45 anni, in un periodo in cui, già scrittore famoso, le sue posizioni pacifiste e antinazionaliste gli avevano creato molti nemici. È probabile che cercasse rifugio e consolazione in questa storia che rappresentava l’espressione artistica della sua passione per i testi sapienziali indiani: il Vedanta, il Dhammapada, la Bhagavad Gita e tanti altri. IL BELLO è che l’unico viaggio in India di Herman Hesse, nel 1911, fu un fallimento: andò a in Malesia, a Sumatra e a Ceylon , l’odierna Sri Lanka, ma si ammalò di dissenteria e non raggiunse le coste dell’India come avrebbe voluto. L’Oriente lo impaurì, con le sue malattie, la povertà, la sporcizia. La sua India l’aveva in casa, nella biblioteca del nonno missionario e dei suoi genitori, nei piccoli bronzi, nelle stoffe dai colori brillanti, nelle memorie di famiglia. Era cresciuto respirando oriente, sognando lì una via di pace, lui che era divorato dall’inquietudine. Alla fortissima aspirazione spirituale si accompagnava un’insofferenza per le difficoltà della vita quotidiana: i tre figli, la malattia della moglie. Sbaglierebbe però chi pensasse al suo Oriente solo come a una fuga, una pseudo sublimazione. Il protagonista del romanzo cerca l’illuminazione e nel suo cammino incontra l’amore sensuale, i commerci, le difficoltà del padre. È un cercatore solitario, tanto che, in uno degli episodi più belli, avendo incontrato il Budda, riconosce che è un perfetto maestro e, poiché non se la sente di seguirlo, non cercherà più altri Maestri. Ne troverà un altro, alla fine del suo cammino, inaspettato . Un libro piccolo, quasi sospeso in un tempo e in una terra che forse non sono mai stati così. Ma quello che descrive è un paesaggio dell’anima, e questo fa sì che Siddharta riemerga a tratti come rigenerandosi in una nuova reincarnazioni: il libro è sempre quello, ma sono i lettori di epoche e culture diverse che lo fanno rivivere. Anche in India fu molto apprezzato. A chi parla questo libro? Negli anni Sessanta la hippy generation, letto Siddharta , e magari il Libro tibetano dei morti, riprese in massa questo movimento migratorio che era stato di una élite : i Ram Dass, Ginsberg, Leary tornavano a Oriente, seguendo su altre piste le tracce di quei pellegrini che li avevano preceduti nel “Pellegrinaggio alle sorgenti”, come il gandhiano Lanza del Vasto. VIAGGI legati anche alle esperienze fatte con gli allucinogeni: i sadhu con i loro grandi chilom di ganja sembravano offrire sintesi interculturali interessanti. Negli anni Ottanta ricordo un mio giovane paziente, la cui malattia nasceva da una ricerca inascoltata di senso, che cominciò ad aprirsi alla psicoterapia quando gli dissi che sì, avevo letto il Siddharta, ed era stato importante anche per me. Era un giovane nato in un ambiente povero, ostile ai libri e cercava qualcosa di diverso dal mondo gretto che rideva dei suoi problemi esistenziali. Scoprire che altri avevano e avevano avuto le sue difficoltà e le sue aspirazioni, fu mezza guarigione. Io credo che Hesse parli agli inquieti dell’anima, a chi è curioso di avventure della coscienza, a chi ama quella radicale messa in discussione di sé che è un vero viaggio, dentro e fuori. Dopo quell’isola di pace che è Il Siddharta, Hesse scrive Il lupo della steppa, avventura inquietante nei labirinti della mente, nata anche dalla sua terapia analitica. “QUEL PICCOLO, pericoloso libretto”, lo definì un amico antropologo. La pace è finita, bisogna affrontare nuovi fantasmi, ancora più tremendi: ma le ultime pagine indicano l’uscita del labirinto. Qualcuno discute la grandezza di Hesse, o trova il suo stile antiquato. Io credo che, nonostante il Nobel, Hesse sia letto non per come scrive ma per i temi eterni che tratta e che la sua modernità consista in quell’individualismo inquieto, in quella ricerca senza patrie della verità, che è faticosa ma non può essere altrimenti . Il risvolto di copertina della nuova edizione suggerisce che possa interessare gli amanti di Hesse che lo hanno già letto: io mi auguro che ci siano molti sedicenni pronti a seguire Siddharta nel suo viaggio. Sarà l’ennesima reincarnazione di questo libro.