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 2012  settembre 13 Giovedì calendario

COLLASSO DELLA JUGOSLAVIA: ALLE ORIGINI DEL DRAMMA

Mi piacerebbe avere una sua opinione su quanto è successo a seguito della dichiarazione di indipendenza delle Repubbliche della ex Jugoslavia. Sono spesso da quelle parti per motivi di lavoro, però vedo che nessuno ama parlarne, quasi volessero scacciare dalle loro menti quei momenti tristi e terribili di lotte intestine, di guerre civili e di massacri. In fondo però ammettono che questi odi tra le varie etnie e le varie comunità non si sono ancora sopiti, che non hanno dimenticato, per cui secondo loro sarebbero possibili nuovi scontri tra le varie parti, soprattutto in Bosnia. Che cosa ha determinato questa follia collettiva che ha causato situazioni come a Srebrenica o Sarajevo? Quale è stata la causa scatenante? Perché l’odio sembra ancora covare sotto la cenere?
Giovanni Ferraris
giovanni.ferraris@treofan.com
Caro Ferraris, lo Stato jugoslavo nacque alla fine della Grande Guerra, dopo il collasso dell’Impero asburgico, e si chiamò per qualche anno Regno dei serbi, croati e sloveni: un nome da cui traspare implicitamente la varietà dei gruppi nazionali e religiosi che dovettero convivere all’interno di uno stesso sistema politico. Le prime crepe cominciarono a intravedersi sin dagli inizi e divennero drammaticamente pericolose dopo l’aggressione tedesca del 1941, quando nacque una Croazia indipendente (ma in realtà satellite della Germania e dell’Italia), il Kosovo fu ceduto all’Albania, la Slovenia fu divisa tra Italia e Germania, il Montenegro rinacque sotto la corona di Vittorio Emanuele. Una parte del Paese insorse contro le potenze occupanti, ma altri jugoslavi videro nel collasso del Regno il trionfo dei loro particolarismi nazionali. Per meglio comprendere la crisi jugoslava degli anni Novanta, conviene ricordare che tra il 1941 e il 1945 si combatterono in Jugoslavia tre guerre: quella fra i partigiani di Tito e le potenze dell’Asse, quella delle formazioni comuniste contro i partigiani serbi e monarchici del generale Mihailovic, quella dei croati dello Stato fantoccio di Ante Pavelic contro i serbi della Krajina, della Slavonia e della Bosnia.
Dopo la fine della guerra, Tito ebbe il merito di ricostruire lo Stato unitario. Si servì del federalismo (più apparente che reale) e soprattutto di una ideologia, il comunismo, che avrebbe cancellato le meschine identità locali, assicurato il progresso di tutti e creato un uomo nuovo: il cittadino comunista jugoslavo. Le promesse furono in buona parte disattese, ma Tito ebbe altresì il merito di conferire allo Stato jugoslavo un forte profilo internazionale nel campo dei non allineati e riuscì, finché visse, a impedire la frantumazione della sua creatura. Per parecchi anni la Jugoslavia fu una sorta di Svizzera comunista, al confine tra i due blocchi, utile a entrambi. La sua crisi cominciò, strisciante, con la morte di Tito nel 1980 ed esplose dopo la fine della Guerra Fredda, all’inizio degli anni Novanta, quando il ruolo «terzaforzista» della Jugoslavia divenne inutile. Il conflitto fu feroce perché non vi era gruppo etnico-religioso che non avesse conti da regolare e umiliazioni da riscattare. Fu lungo perché non esistevano frontiere che separassero nettamente un gruppo dall’altro. E si concluse soltanto grazie all’intervento degli Stati Uniti e dell’Europa. Ma la vera pace verrà soltanto quando tutte le antiche Repubbliche jugoslave saranno riunite nell’ambito dell’Unione europea.
Sergio Romano