Vincenzo Nigro, la Repubblica 13/9/2012, 13 settembre 2012
STEVENS È MORTO SOFFOCATO DALL´INCENDIO
Il "film" dell´assalto al consolato americano di Bengasi è ancora molto confuso. Una ricostruzione della battaglia di martedì notte, dell´irruzione nel compound di "via Venezia" non è ancora possibile. Nessuno crede con certezza assoluta alle rivendicazioni, ma neppure alle smentite arrivate da gruppi politici o di terroristi. Ma una cosa è certa: l´ambasciatore John Christopher Stevens, un grande amico degli arabi e della Libia, e i suoi tre colleghi non sono stati uccisi semplicemente da una folla di libici impazzita di rabbia per un film anti-islamico.
Stevens, l´ex militare Sean Smith e due marines di guardia sono vittime di un attacco pianificato rapidamente e condotto in maniera spietata da un gruppo di terroristi associati ad Al Qaeda. La protesta iniziale contro il film L´innocenza dei musulmani era solo un pretesto, una copertura magari creata ad arte, per un´operazione militare in grande stile che ha avuto il sapore di una vendetta per l´uccisione del "numero 2" di Al Qaeda, il libico Abu Yaya Al Libi.
In Italia il primo ad avanzare questa tesi parlando ieri mattina con i suoi colleghi è stato il console a Bengasi, Guido De Sanctis. Il diplomatico italiano non solo ha seguito la rivolta contro Gheddafi dall´inizio alla fine, inviato a Bengasi dal ministro Frattini poco dopo lo scoppio della guerra civile. Ma soprattutto martedì sera era in un ristorante a 200 metri dal compound americano, bloccato per ore assieme a decine di libici accanto al consolato mentre l´assalto andava avanti nella notte.
Il consolato americano a Bengasi giuridicamente non è un vero e proprio consolato: il Congresso Usa per una questione di bilancio non ha permesso all´amministrazione Obama di aprirlo. Ma Bengasi è importantissima per il controllo della Libia, e allora il Dipartimento di Stato ha creato un "ufficio secondario" dell´ambasciata di Tripoli. «Stevens da buon ambasciatore molto spesso veniva qui, a Bengasi, perché nonostante i pericoli e le difficoltà è proprio qui che si continua a fare buona parte della politica nella nuova Libia», dice al telefono De Sanctis. Alle 21,30, quando la folla di manifestanti ha iniziato ad avvicinarsi al "via Venezia" (il nome italiano del quarto anello delle tangenziali di Bengasi) il console italiano ha quindi capito subito che l´assalto sarebbe stato un affare assai serio. «È sicuro che il corteo dell´ambasciatore americano arrivato proprio nel giorno dell´11 settembre sia stato notato e segnalato ai gruppi terroristici che poi lo hanno attaccato», dice l´italiano. Non è chiaro se i qaedisti (probabilmente Ansar Al Sharia, ma fino a tarda sera l´amministrazione Obama non si sbilanciava sulla matrice) abbiano avuto la capacità di organizzare la manifestazione di piazza attorno alla villa americana oppure se semplicemente si siano "accodati" alla folla. «Una cosa è certa», dice un funzionario della presidenza del Consiglio, «nell´assalto sono stati utilizzati Rpg e kalashnikov, che in effetti a Bengasi sono molto diffusi: ma le strade attorno al consolato sono state bloccate da jeep e tecniche con mitragliatrici a bordo, un´azione militare per andare avanti fino in fondo».
Nella ricostruzione dell´assalto ci sono molti dubbi. Innanzitutto come è morto l´ambasciatore? Da un esame delle foto e dai racconti più verosimili sembra che Chris Stevens effettivamente sia stato chiuso in una "stanza sicura" dalla sua scorta, e che lì dentro sia rimasto intrappolato, soffocato dal fuoco provocato dall´attacco. Un racconto che lo vuole morto per colpi d´arma da fuoco è smentito da Ziad Abu Zeid, il medico libico che ha provato a rianimarlo: «Mi hanno portato quest´americano, nessuno sapeva fosse l´ambasciatore, non aveva ferite visibili».
Altra controversia sulle fasi della battaglia: a un certo punto sembra che la sicurezza americana abbia provato a evacuare tutto il personale (con l´ambasciatore? senza l´ambasciatore?) in un edificio lontano dalla villa-consolato. In quel momento una ventina di uomini armati di tutto punto avrebbe scatenato un inferno di fuoco, con mitragliatrici pesanti e Rpg per provare a uccidere quanti più americani fosse possibile.
Da settimane l´elenco degli "avvertimenti" anti-occidentali a Bengasi si allungava. Il 6 giugno una bomba contro il muro del consolato Usa. L´11 un razzo contro il corteo dell´ambasciatore britannico. All´inizio di agosto un quintale di tritolo sotto lo scalone d´ingresso dell´Hotel Tibesti, quello dove aveva avuto sede l´Onu. Ma anche altri segnali come la demolizione di due templi sufi (musulmani moderati) messa a segno dagli estremisti salafiti di fronte all´impotenza della polizia libica. E ancora la richiesta agli uffici di Svezia e Danimarca di ritirare le loro bandiere (hanno due croci), fino alla minaccia diretta al vescovo e alla chiesta cattolica di Bengasi: «Non dite più messa. Oppure ci penseremo noi». Questa è la Libia in cui martedì notte, difendendo anche la libertà di un popolo uscito da 40 anni di dittatura, è morto l´ambasciatore americano Chris Stevens.