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 2012  settembre 13 Giovedì calendario

«MEGLIO IL VECCHIO SUDAMERICA CHE IL DESERTO CULTURALE ITALIANO»

«Questo premio mi fa piacere: mel’avevano of­ferto già un an­no fa, ma non po­tei ritirarlo per un impegno prece­dente», dice Alberto Arbasino, che sabato riceverà il Premio per la Sati­raaFortedeiMarmi. Haquattrovol­te vent’anni, lo scrittore contempo­raneopiùsnob, originaleenostalgi­co d’un mondo perduto e affollato di storie, personaggi e situazioni che lui rievoca con l’impressionan­te­vividezzad’unpresepemaismon­tato. Ma nessun giovane turco tiene ilsuopasso, mentresiscapricciasul­le piste dei Pensieri selvaggi a Bue­nos Aires , il suo ultimo libro edito da Adelphi. Dove l’Anonimo lombar­do, con la scusa d’un viaggio nelle grandi capitali sudamericane - da Buenos Aires a Montevideo, da San Paolo a Rio de Janeiro - compiuto nel 2008 racconta molto di noi, de­gli italiani di ieri e di oggi, tra l’Argen­tina e l’Uruguay, ma anche tra Sciu­scià e Paisà , con Caruso e la Callas chealTeatroColón «univanoalgua­dagno coloniale il riposo dell’ugo­la ». E di suo cugino Tillo Gatti, «av­venturoso esploratore incontenta­bile dell’Africa ».
In America Latina sulle tracce di Claude Lévi-Strauss e dei suoi Tristi Tropici e invece del­la Pensée Sauvage trova tracce del cugino Attilio, detto Tillo...
«All’epoca dei Tristi Tropici di Lévi-Strauss,un’autobiografia ro­mantica che ho letto per molto tempo,era curiosa l’idea che ci fos­sero le tribù Bororo, molto meste e rinchiuse nella loro tristezza nel Mato Grosso. Ma sono rimasto perplesso quando, uscendo da un ristorante a Buenos Aires, ho sco­perto casualmente due volumi di foto scattate da mio cugino, che scriveva per il National Geo­graphic , con selvaggi africani simi­li a quelli delle tribù descritte da Lévi-Strauss. Nel caso di Tillo era mal d’Africa. In quello di Lévi-Strauss, mal di Bororo».
Eppure la tristezza andina de­gli Inti Illimani va ancora in gi­ro, da noi...
«Gli Inti Illimani? Da una trenti­na d’anni non ne sento parlare: sa­ranno come i papagaios ! ».
L’unica dimensione accettabi­le­resta quella del viaggio cultu­rale?
«Ma qui c’è una povertà di idee spaventosa! Prendiamo il cinema: perché si dovrebbe aver voglia d’andare alla Mostra di Venezia? Mi dicono che nel film di Belloc­chio la scena più bella sia quella in cui deputati del Parlamento fanno il bagno... Sono stato deputato, nei primi anni Ottanta, e non ho mai fatto una sauna a Montecitorio».
Quella scena è pittorica, Bel­locchio voleva rifare un qua­dro da Basso Impero di Alma Tadema.
«Alma Tadema o Almodóvar? Al­lora avrebbe ragione Borges: se­guendo l’antica Roma, tutti i sena­tori vanno a Caracalla. Magari ora ci sono fior di saune a Montecito­rio e a Palazzo Madama, non lo so... ma io faccio un discorso gene­rale: non c’è più quel pensiero “ah, devo uscire di casa per vedere que­sto o quel film”. Uscendo di casa ci si domanda: com’è che nessuno tiene più al proprio look?».
In che senso?
«Intorno a casa mia vedo studen­ti universitari molto sciatti e poco puliti. Addosso hanno non solo vecchie magliette, ma magliette sporche. Non capisco come ci pos­sa essere attrazione nelle coppiet­te lui- lei: sono tutti così malmessi e in disordine. Che tipo di attrazione provano?».
Nelle capitali sudamericane «già fiorenti e ora misere»ha ri­trovato l’eco della nostra crisi?
«Da quelle parti un certo vitali­smo circolava ancora, prima della crisi argentina dei bonds, o di quel­la brasiliana. Un’immagine fisica della crisi si è cominciata a vedere con i cartelli “Affittasi”o “Vendesi” scoloriti dal tempo: segno che nes­suno affittava o comprava. Imma­gini tangibili d’una crisi economi­ca più impressionante, laggiù, do­v’erano pieni di vita».
Pieni di vita gli italiani non so­no più?
«Da noi si vede l’abbassamento qualitativo in ogni settore. Basti no­tare che l’editoria va unicamente verso il bestseller: tra la crisi econo­mica e il livellamento commercia­le dei bestseller c’è un nesso. Non è che una sarà conseguenza dell’al­tro? ».
Nei Pensieri selvaggi a Buenos Aires fa dire a Borges che il suo libro preferito è la storia della letteratura italiana di Momi­gliano. Volume che si trova so­lo in Internet. Come vede il li­bro elettronico?
«Io il Momigliano ce l’ho nella mia libreria.L’apprendimento del­le lettere richiederebbe leggere molto e imparare poesie a memo­ria. “S’ode a destra uno squillo di tromba”,o “L’albero cui tendevi la pargoletta mano”...versi che,man­dati a memoria, non rappresenta­no solo un esercizio, ma formano un patrimonio comune. Nella ter­za età, ogni giorno mi tornano in mente certe canzonette dell’Eiar: “Illusion/ dolce chimera sei tu”. Nell’era dello e-book che c’è da mandare a memoria? Così come non ci sono più ritornelli di cui po­ter ricordare le parole. Al più, quel tum-tum-tum analogo per tutti».
Dal punto di vista musicale, do­ve si ferma?
«A Mina e a Battisti. Poi, andan­do indietro di generazioni, c’erano Nilla Pizzi, Alberto Rabagliati: no­mi dimenticatissimi. Nel film Tere­sa Venerdì ricordo un’Anna Ma­gnani stupenda, che cantava: “Qui nel cuor/ qui nel cuor/ c’è un amor”.Cose volontariamente stu­pidissime, ma che per un paio di ge­nerazioni funzionavano. Poi, do­po i complessini inglesi o america­ni, chi ha più presenti le parole del­le canzoni? Non s’imparano più né i versi di Carducci - “I cipressi che a Bolgheri, alti e schietti” - , né si ricordano i versi cretini delle canzonette: la memoria si eserci­ta poco».
C’è oggi un personaggio fem­minile alla Evita Perón, molto citata nel suo libro?
«No, nessuna ha l’ allure della
Presidenta , che d’altronde aveva fatto l’attricetta.Mi fermo alla Cal­las: voce non bella, ma drammati­cissima e portamento scenico ec­cezionale ».