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 2012  settembre 12 Mercoledì calendario

STEVENS, IL DIPLOMATICO CHE CONTRIBUI’ ALLA CADUTA DI GHEDDAFI

L’intera atmosfera è cambiata per il meglio. La gente sorride di più, ed è molto più aperta con gli stranieri. Americani, francesi e inglesi stanno godendo di una popolarità inusuale. Speriamo che duri!». Suonano crudeli queste parole che John Christopher Stevens aveva scritto ai suoi amici, dopo le prime sei settimane passate come ambasciatore a Tripoli. Aveva visto i semi del possibile cambiamento, senza prevedere l’odio dei pochi estremisti che lo avrebbero colpito.

Stevens si era preparato per la sua nuova missione a Roma, dove si era appoggiato all’ambasciata americana di via Veneto durante la guerra in Libia. Là aveva seguito la campagna militare, organizzando il suo sbarco a Bengasi, dove era arrivato con una nave cargo. Il suo legame con l’Italia era così forte, che in passato era circolata anche la voce non confermata che avesse un figlio adottivo a Milano.

«E’ specialmente tragico ha commentato il presidente Obama - che Chris Stevens sia morto a Bengasi, perché è una città che ha aiutato a salvare». Questo forse è l’aspetto più paradossale dell’attacco di martedì. Stevens era stato tra i primi diplomatici ad arrivare in Libia, stabilendo subito forti contatti con i ribelli. In sostanza aveva contribuito a coordinare l’intervento militare della Nato, assicurando il successo degli oppositori e favorendo la caduta di Gheddafi. E’ morto per mano di terroristi probabilmente salafiti, che prima si sono avvantaggiati delle operazioni contro il vecchio regime, e ora cercano di fomentare la violenza per dividere la società e acquistare potere.

Stevens aveva un curriculum perfetto per la sua missione. Nato in California nel 1960, aveva studiato a Berkeley e poi all’Hastings College e al National War College. Quando aveva 23 anni era entrato nei Peace Corps, insegnando inglese in Marocco. Allora era nata la sua passione per il Medio Oriente e aveva cominciato a studiare l’arabo.

Dopo qualche anno passato a lavorare come avvocato internazionale a Washington, nel 1991 era entrato nel servizio diplomatico. La serie delle sedi in cui aveva lavorato lo aveva trasformato in un esperto della regione mediorientale: sezione economica a Riad, funzionario politico al Cairo e Damasco, capo della sezione politica al consolato di Gerusalemme. Poi era arrivato in Libia, nel giugno del 2007, come vice capo della missione, e proprio lui aveva preparato lo storico incontro tra il segretario di Stato Rice e Gheddafi, dopo la sua rinuncia alle armi di distruzione di massa. Il 5 aprile 2011 era tornato a Bengasi, a bordo di un cargo greco, per stabilire contatti con il Consiglio nazionale di transizione, e nel giugno scorso era diventato ambasciatore a Tripoli. «Ha lavorato senza sosta - ha detto Obama - per aiutare questa giovane democrazia. Tanto il segretario Clinton, quanto io, facevamo grande affidamento sulla sua conoscenza». Il 4 luglio aveva trovato anche il modo di scherzare con gli amici, per la Festa dell’indipendenza che aveva organizzato: «In qualche maniera, il nostro sagace staff ha individuato una band libica specializzata in brani soft rock degli Anni 80. Mi sono sentito davvero a casa».