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 2012  settembre 12 Mercoledì calendario

UN’ITALIANA FA CAUSA ALLA CIA: «MIA LA TAGLIA PER BIN LADEN»

Mera coincidenza, gran cu­lo o soffiata straordina­ria? Una delle tre, non si scappa.Undici anni fa,l’11 settem­bre 2001, la Storia virava brusca­mente insieme agli aerei dirottati dai terroristi per schiantarsi contro le Torri Gemelle. Dodici mesi ad­dietro, Osama Bin Laden veniva freddato in un blitz delle teste di cuoio Usa in Pakistan e sepolto in mare nel più assoluto segreto. Oggi il Dipartimento di Stato americano e il ministero dell’Interno sono sta­ti citati in giudizio davanti al tribu­nale di Roma chi, prima nel 2003, e poi direttamente alla Cia nel 2010 (otto mesi prima del blitz dei Nea­vy Seals) fornì una notizia che si ri­velerà esplosiva perché indicava il rifugio segreto dove il capo di Al Qa­eda troverà poi la morte. Una spia­ta che venne evidentemente sotto­valuta (insabbiata o utilizzata) e sulla quale ora la scrittrice ciociara Mary Pace, a caccia della taglia di 25 milioni sulla testa di Bin Laden, vuole che si faccia chiarezza. La si­gnora in questione è un personag­gio che da un pa­io di decenni si oc­cupa di intelligence e terrorismo in­ternazionale ai massimi livelli. Un personaggio uscito dai romanzi di John Le Carrè: giovanissima infil­trata del generale Giovanni De Lo­renzo ( quello del piano Solo, per in­tenderci) nelle fila del Pci, custodi­sce da anni i segreti esplosivi di Gui­do Giannettini, l’ex superspia del Sid (il servi­zio segreto de­gli anni Settan­ta) già inquisito e assolto per la strage di piazza Fontana.
Ques’ultimo, poco prima di morire, le avrebbe rivela­to il luogo esat­to dove si na­scondeva, a suo dire, l’uomo più braccato del mondo. La confidenza puntava a una riserva di caccia di circa trenta chilometri quadrati compresa tra le factories pakistane di Wah, Gad­wal, Sanjval e Havelian,quest’ulti­ma nel distretto di Abbottabad. Una soffiata millimetrica (se si con­sidera che il Pakistan è grande quat­tro volte l’Italia) che Pace passò il 20 agosto 2003 a due ispettori della Digos di Frosinone che, a loro vol­ta, girarono all’Ucigos a Roma. Da allora, di quella soffiata, non se ne è più saputo nulla, nessuno ha senti­to il bisogno di approfondire se quel che diceva una donna notoria­mente ben inserita negli ambienti dell’intelligence fosse una panza­na o un’imbeccata precisa. Mary Pace, in un esposto alla magistratu­ra, e nel successivo atto di citazione stilato dal suo avvocato Carlo Taor­mina, non avanza ipotesi, ma adombra «eventuali responsabili­tà penali di tipo omissivo ». Ci sareb­be qualcuno che si è preso la re­sponsabilità di non avvisare gli americani di quella pista, e se sì chi è? Oppure, la notizia è stata data al­la Cia? Se sì, quando? A chi?
Anno dopo anno, di fronte al si­lenzio e alle porte chiuse, la giorna­lista apprende da propri canali che l’informativa è nel frattempo atter­rata al Viminale. Così nel 2007 pren­de e scrive un pezzo per il settima­nale «Il Borghese» rendendo pub­blica la storia riferita alla Digos quattro anni prima, aggiungendo che Osama Bin Laden sarebbe pro­tetto dagli 007 pakistani. Riscon­trando indifferenza e ostilità, la Pa­ce riesce a mettersi in contatto con la Cia sono nell’estate del 2010.A lu­glio un «referente» del centro di Langley si mette in contatto con la signora via posta elettronica e cellu­lare (tutto il materiale è agli atti). Dopo un’iniziale indifferenza lo 007 sembra parecchio interessato tanto che gli articoli e le analisi del­la Pace vengono descritti come «impressionanti». L’agente yankee le chiede le credenziali («dove lavora, che cosa ha scritto sul terrorismo»)e le fa la più classi­ca de­lle domande nell’oscuro mon­do degli spioni: «Che cosa ci puoi di­re che noi non sappiamo già?». Mary Pace spiega. Seguono altre mail (il 17 e il 26 luglio) per un ulte­riore scambio di informazioni. A ot­tobre di quello stesso anno, le co­municazioni con la Central Intelli­gence Agency si interrompono. Gli 007 spengono improvvisamente il pc e attaccano la cornetta. Il 2 mag­gio 2011, otto mesi dopo l’ultimo colloquio tra la Cia e Mary Pace, il presidente Obama annuncia il bli­tz delle forze speciali Usa in una vil­letta di Abbottabad ( nel distretto di Havelian, nel triangolo sensibile in­dicato dalla­giornalista nella sua in­formativa alla Digos nel 2003). Pas­sano poche ore e il portavoce della Casa Bianca si affretta a dichiarare che la maxi-taglia da 25 milioni di dollari non sarà pagata a nessuno, perché non ci sono informatori die­tro l’operazione. Curiosamente, il segretario alla Difesa Leon Panet­ta, ex direttore della Cia, lo smenti­sce e ammette che una «gola pro­fonda »in questa storia c’è:un medi­co pakistano che avrebbe venduto la tana del lupo agli americani. «E le mie indicazioni, allora?» si chie­de la giornalista. Parte così l’attac­co giudiziario: l’avvocato Taormi­na cita in giudizio il Dipartimento di Stato Usa e il Viminale, rivendi­can­do il diritto alla stratosferica ta­glia per la sua cliente.
In contempo­ranea, negli Usa esce il libro «No easy day» con la versione ufficiale sull’assalto dei Navy Seals al com­pound scritto da un’ex testa di cuo­io che racconta di aver sparato a Osama Bin Laden senza ricono­scerlo e di averlo inchiodato a terra con una sventagliata di mitra. In una casa affollata di poliziotti e ca­rabinieri la misteriosa Mary Pace non ha voglia di scherzare. Sarà sta­ta una coincidenza, avrà tirato an­che a indovinare, ma l’aver trovato l’agonelpagliaiopakistanoconset­te­anni d’anticipo l’autorizza a pro­vare a battere cassa.
(ha collaborato Simone Di Meo)