Valentina Arcovio, Tutto Scienze & Salute, la Stampa 12/9/2012, 12 settembre 2012
QUESTO NON È PIÙ DNA SPAZZATURA SVELATI GLI INTERRUTTORI DEL GENOMA
Il tutto è maggiore della somma delle parti», diceva Aristotele. Mai questa frase è stata più azzeccata, ora che iniziamo a scrutare la complessità del nostro Genoma. Non ci sono solo geni, Rna messaggeri e proteine tradotte da questi ultimi, ma il nostro Dna è fatto anche di molecole di Rna che fungono da «interruttori» e di singole basi - gli SNPs - che ne influenzano il funzionamento. E non solo. Ci sono gli pseudogeni, erroneamente definiti come «geni morti» e c’è una sorta di rete funzionale che collega tutti gli elementi.
Insomma, i risultati ottenuti dal consorzio di ricerca pubblico Encode (Encyclopedia of Dna Elements), guidato dal National Genome Research Institute americano, l’Nhgri, e dallo European Bioinformatics Institute, l’Embl-Ebi, dimostrano che nel Dna nulla si trova lì per caso. Partito senza troppe pretese, il progetto Encode è riuscito ad analizzare la bellezza di 1640 «set» di dati, riguardanti 147 tipi diversi di cellule. Sono stati studiati 4 milioni di nuovi geni, la stragrande maggioranza dei quali funge da «interruttore». Questa enorme mole di informazioni è stata sviscerata in 30 articoli, tutti «open access», diffusi su 3 riviste: «Genome Biology», «Genome Research» e «Nature» che ha creato anche un’«app» per iPad.
Il merito maggiore di Encode sta nell’aver dimostrato che il cosiddetto «Dna spazzatura» è tutt’altro che inutile. Quella «materia oscura», di cui è fatto l’85% del Genoma, altro non è che il «cervello» da cui partono tutti i comandi per le operazioni di accensione e spegnimento dei geni. Altro che spazzatura, quindi. E’ proprio questa parte, fino ad oggi incompresa, del codice genetico a stabilire quali geni devono sintetizzare una data proteina, in che tempi e in quali quantità. Nonostante alcuni di questi «interruttori» siano molto distanti dal gene che attivano. E la scoperta, quindi, porta anche a riconsiderare il concetto stesso di gene. «Oggi possiamo definirlo - dice il genetista Giuseppe Novelli, dell’Università di Tor Vergata, ora in servizio presso l’Agenzia Nazionale di Valutazione della Ricerca - come l’unione di sequenze genomiche che codificano per un set coerente di prodotti funzionali, potenzialmente sovrapponibili».
In pratica, è stata eliminata la vecchia nozione secondo la quale la maggior parte del nostro Dna non è funzionale. «Encode ha dimostrato - spiega Novelli - che almeno 85% del Genoma possiede un’attività! Ovvero scrive, traduce, regola, accende o spegne geni, allarga la cromatina per meglio far accedere al Dna proteine regolatrici e altro ancora». Sono proprio queste a fare la differenza tra Genomi simili di specie molto diverse. «Ora abbiamo un elenco delle parti di ciò che ci rende umani», annuncia Mark Gerstein dell’Università di Yale e uno dei maggiori scienziati di Encode.
Le implicazioni di queste scoperte vanno al di là della pura conoscenza. Encode ha infatti permesso di identificare nel Genoma singole basi di Dna - gli SNPs - la cui variazione può comportare un’aumentata suscettibilità a sviluppare una malattia oppure una maggiore protezione dalle malattie stesse. «Questo è molto importante - sottolinea Novelli - perché fino ad oggi, dei 7 mila SNPs noti che hanno questi effetti, solo il 10%, quindi circa 700, codificano per proteine diverse». Che cosa fa, quindi, la maggioranza di questi SNPs? E perché possono determinare una predisposizione alle malattie? «Encode - risponde il genetista - ci fornisce oggi un elenco di questi SNPs, ritenuti prima non funzionali, perché si trovavano in regioni di Dna definite desertiche, ma che oggi, invece, sappiamo influenzare l’accensione o lo spegnimento di geni oppure modificare la struttura del Dna, rendendolo più accessibile, per esempio, a fattori di trascrizione. Oppure, ancora, inducono a produrre più Rna e, quindi, più proteina in una determinate cellula e non in un’altra. Questo è importante per capire l’effetto di alcune mutazioni del cancro».
Discorso simile per gli pseudogeni. «Considerati da sempre residui evoluzionistici di copie di geni non più funzionanti - dice Novelli - Encode ha dimostrato che molti di questi (ne sono stati studiati 11 mila) sono stati “resuscitati” e assumono funzioni importanti, per esempio controllando l’attività di geni simili o di loro cloni».
Comprendere questa intricata trama genomica ci aiuterà in futuro a sviluppare farmaci molto più efficaci, in grado di agire in punti diversi della stessa rete. «Se si dimostrasse, per esempio, che un farmaco ideato per l’infarto agisce in un determinato punto di una rete che è attiva anche nel tumore della mammella, si potrebbe utilizzare lo stesso farmaco anche per il tumore e questo - conclude Novelli - aiuterebbe molto la scoperta di nuove medicine».