Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 12/09/2012, 12 settembre 2012
AMORI E DOLORI DELL’ITALIA VERA
Storie di infanzia, storie di amori complicati, storie di guerra, storie familiari, storie intime, storie di separazioni, di addii, di ritorni, di nascite e di morti. Storie di italiani e italiane non illustri. Sono otto le memorie, gli epistolari, i diari finalisti scelti dalla giuria del Premio Pieve Saverio Tutino: tra questi un gruppo di lettori popolari voterà domenica il vincitore. Scomparso nel novembre scorso, Tutino è il fondatore dell’Archivio di Pieve Santo Stefano che da anni raccoglie i diari di gente comune: oltre settemila i documenti, pervenuti dal 1984 a oggi, che nell’insieme compongono una storia d’Italia vista e vissuta dal basso.
Otto storie che, come fa notare Natalia Cangi, direttrice organizzativa dell’Archivio, sono accomunate in buona parte dal tema dell’infanzia violata e abbandonata. Ma la guerra rimane in primo piano, anche se in una materia essenzialmente maschile prende risalto anche il punto di vista femminile. L’arco temporale è molto ampio e va dalla fine dell’800 ai nostri giorni. In genere, se gli italiani prendono carta e penna per raccontarsi, lo fanno perché hanno da ricordare (ed elaborare) esperienze tragiche che spesso si incrociano con la Grande Storia. Vicende private che quasi miracolosamente hanno un finale non felice ma almeno sereno raggiunto a costo di fatiche immani. Lo dimostra la rassegna dei testi finalisti, che sul piano della forza espressiva — per non dire delle verità che narrano — potrebbero competere con molti Premi Strega ottenuti da scrittori laureati.
Il fiorentino Ubaldo Baldinotti, classe 1890, si sofferma sugli anni del primo conflitto mondiale. Dopo aver fatto il garzone presso un orefice e poi il calzolaio con suo padre, nel 1915 viene destinato alle trincee del Carso. Le marce nelle tormente invernali, la paura, la tensione, l’attesa, gli assalti austriaci, lo spirito di fratellanza, ma anche la solidarietà verso il nemico, Caporetto, la deportazione in Baviera. Da Alia, nei pressi di Palermo, prende le mosse l’«odissea» di Castrenze (sic!) Chimento, una vita «che per quanto triste possa apparire è valsa la pena di essere vissuta». Anche qui sangue e sudore, con una guerra sullo sfondo e una Sicilia arcaica con cui fare i conti: lo sfruttamento nei latifondi, una famiglia poverissima, il lutto per il primogenito morto in battaglia, la fuga della madre tra le braccia di un ricco possidente locale. Castrenze, nato nel 1935, finirà bracciante, vittima di angherie e di violenze fisiche. La «svolta» arriverà tardi, ma arriverà.
Guerra e ancora guerra. La vita di Maria Fenoglio, cuneese del 1905, sembra annullarsi per decenni nello «spasimo d’amor patrio». Fascista convinta, volontaria dal ’40 presso la Scuola per militari e fedele al Duce anche dopo l’armistizio, Maria aderisce alla Repubblica di Salò con l’uomo che l’ha folgorata, un ufficiale conosciuto all’inizio della guerra. Con il 25 aprile vengono i mesi di prigionia, un processo, l’assoluzione, cui seguirà un nuovo incontro con l’ex ufficiale amato. Ma l’amore, mai sopito, andrà deluso. Per una donna ostinata e fedele, un uomo incerto. Rimasto privo di disposizioni militari, l’8 settembre il giovane sottufficiale ligure Giacinto Guala, impegnato in Montenegro, non sa che fare: tedeschi o badogliani? Spera che Dio gli perdoni la «vigliaccheria» e accetta la condizione di prigioniero di guerra: deportato in Germania, trascorre mesi e mesi tra lavori forzati, la nostalgia di una moglie e di due figli a casa, la gelosia da lontano, le tante «idee nere».
La guerra di Lilly Sammartino, nata a Burgio (Agrigento) nel 1953, è invece tutta privata: terza di sei figli, con un padre, Giovanni, la cui ricca famiglia mercantile sarà rovinata dal regime. Il padre quindicenne a Porto Empedocle avrebbe attentato a Mussolini, riuscendo solo a sfiorarlo prima di darsi alla fuga sui monti. Leggenda familiare? Tra i vari attentati al dittatore ricostruiti dagli storici questo non è registrato. Fatto sta che quando la moglie decide di trasferirsi a Milano, la rabbia spinge Giovanni a impugnare una pistola: la donna finisce in coma e poi in manicomio, mentre lui deve scontare 19 anni di carcere. Per la ragazza, istituti, collegi, la fabbrica, qualche pesante delusione amorosa e infine un matrimonio e tre figli. «Ringrazio il Cielo per avermi dato dei genitori che mi amano», scrive Aurelio Dimarco, torinese del 1931. La sua è una storia di omosessualità repressa negli anni 50, quando il coming out non era facile: una vicenda di frustrazione e di solitudine consegnata al diario di un «sognatore», che si apre proprio con lo svelamento (a se stesso) del suo «inconfessabile» segreto, delle ossessioni e dei sensi di colpa mai risolti.
C’è dolore e dolore. Quello vissuto da Paola Valli, forlivese del 1956, è l’itinerario di un’emancipazione cercata negli anni degli ideali post-68: prima nell’ambiente universitario bolognese, vissuto felicemente, poi nella vita lavorativa che Paola però sente sempre più estranea fino a lasciarsene opprimere. La depressione la porta a mostrarsi agli uomini per ciò che non è: una donna dai costumi sessuali liberi e al passo coi tempi. Arriva il momento delle cure e degli psicofarmaci, finché scopre che l’unica autentica terapia è la scrittura. Un’altra storia di donna, un’italiana acquisita: la terapia di Lireta Katiaj, oggi trentacinquenne di Valona, è una terapia necessariamente d’urto, la fuga da un padre alcolista violento e da una madre incapace di liberarsi dei soprusi del marito. Con la caduta di Hoxha, la via di scampo agognata è su un barcone verso l’Italia. Loreta si imbatterà in scafisti senza scrupoli e nel rischio di entrare nel giro della prostituzione. Alla fine la troviamo in Sicilia, dove con una figlia e con il suo Salvatore potrà confessare che pur essendo piena di cicatrici, ha imparato a sorridere: «Mi sento rinata! Invincibile!».
Se ci fosse un Vladimir Propp dei memoriali di Pieve, individuerebbe le loro costanti nella povertà, nell’arretratezza di partenza, nella chiusura del contesto, nella ricerca di una via d’uscita, di un lavoro e di un’emancipazione, nelle angosce per il futuro e nel sudore, negli ostacoli posti dagli accidenti della Storia mai benigna. Nella famiglia come obiettivo primario. Sono memorie italiane.
Paolo Di Stefano