Angelo Aquaro, la Repubblica 12/9/2012, 12 settembre 2012
DONNA È MEGLIO
Non è più un mondo per soli uomini. La fine del sesso che una volta si diceva forte è incastonata nei numeri che la Casa Bianca sta sventolando davanti agli americani ancora indecisi. Sì, se Barack Obama non sloggerà dallo Studio Ovale il merito sarà anche suo. L’effetto Michelle da oggi è un coefficiente: più 7 punti nell’Economic Confidence Index, l’indice che misura appunto la fiducia nei progressi dell’economia. Sette punti sono ovviamente più dei 6 che separano nei sondaggi il marito dallo sfidante Mitt Romney. E soprattutto sono più del doppio dei punti di fiducia (più 3) guadagnati da Obama nella stessa Convention. No, non è più un mondo per soli uomini: la fiducia è donna. E non bisogna, ci mancherebbe, aver sposato l’uomo oggi più potente
del mondo per dimostrare al mondo la propria potenza.
Le donne vanno più lontano già da sole: dopo un divorzio, sono più loro che gli uomini a vedere balzare i propri guadagni del 25 per cento. Qualche altro numero? La media degli stipendi maschili è scesa del 28 per cento negli ultimi 40 anni. Le ventenni guadagnano già più dei colleghi maschi. E in 12 delle 15 professioni più accreditate sono le donne a surclassare ancora una volta gli uomini.
Che le cifre vengano squadernate da un uomo, David Brooks, su un giornale diretto da una donna, Jill Abramson, spiega bene di che cosa parliamo quando parliamo di fine dell’uomo. Anche perché quel giornale si chiama nientedimeno che New York Times: e la signora Abramson è la prima donna nella storia ad averne scalato la vetta. Brooks, reporter di lungo corso, sta conoscendo nuova giovinezza come brillante scienziato sociale.
L’animale sociale: alle origini dell’amore, della personalità e del successo è un libro che restituisce alle emozioni il ruolo di guida dello sviluppo che per troppi secoli la ragione la ragione aveva usurpato. Sarà proprio per questo che Brooks è stato così svelto a riconoscere un ulteriore vantaggio nel sesso emotivamente più dotato? Il ragionamento parte proprio dal libro che Hanna Rosin, colonna di Atlantice del giornalismo liberal, ha intitolato senza mezzi termini La fine dell’uomo.
Forse per risalire il dirupo nel quale s’è cacciato, dice Brooks, l’uomo dovrebbe rigenerarsi nel mito di Odisseo e liberarsi di quello di Achille. E cioè: meno mascolinità tutta testosterone (anche se pure Achille, nel suo piccolo, piangeva per il suo Patroclo) e più multiforme ingegno nel segno di Odisseo.
Sì, multiforme. Perché non bisognava aspettare i neuroscienziati come Ketih Laws, dell’Università inglese di Hertfordshire, che hanno certificato la migliore predisposizione delle donne al
multitasking — cioè la capacità di saltare contemporaneamente da un’incombenza all’altra — per scoprire quello che ogni giorno osserviamo nelle nostre mogli, compagne, mamme e figlie: l’inarrivabile bravura di districarsi tra lavoro e faccende domestiche (dove gli uomini, e parliamo della già evolutissima America, si occupano della casa solo per 38,9 ore alla settimana contro le 48,3 impiegate dalle donne).
La fine dell’uomo sembra del resto seguire la parabola della storia. Per troppo tempo abbiamo creduto che le differenze tra i sessi avessero una origine antropologica. La diversificazioni dei ruoli risale all’ascesa dell’uomo cacciatore: lui fuori a procurare il cibo e lei in grotta a cucinarlo e badare ai figli. «In passato» scrive ora Rosin «gli uomini hanno tratto il loro vantaggio dalla stazza e dalla forza: ma l’economia post-industriale è indifferente allo sfoggio di muscoli». Se ne sono accorti proprio nella capitale mondiale di quella economia: la Silicon Valley. L’ascesa di Marissa Mayer, l’ex vice di Google, alla testa della rivale Yahoo! non ha significato una sorpresa — grazie a Dio — per il fatto che sia stata scelta una donna: già Carol Bartz, per esempio, aveva occupato quella poltrona, anche se poi poco elegantemente (proprio perché donna?) cacciata con una semplice telefonata.
Mashable, una delle voce più accreditate nella Valley, ha definito un punto di non ritorno la scelta di Marissa per avere invece infranto ben altro tabù: l’assunzione, e a quei livelli!, di una signora incinta. Sottolineando come quello che una volta veniva considerato un handicap adesso viene considerato un asset: una ricchezza.
Proprio un’altra signora dell’hitech, Sheryl Sandberg, il numero due di Facebook, sta per raccontare in un altro libro,
Lean In, cioè “farsi avanti”, “avanzare”, l’inarrestabile cammino femminile. «Il mondo sarebbe un posto migliore se metà delle nostre istituzioni fosse retto dalle donne. E metà delle nostre case fosse guidata da uomini» ha detto la vice e chioccia di Mark Zuckerberg al blog tecnologico del Wall Street Journal.
Il libro, spiega, conterrà «suggerimenti pratici per le donne — e per gli uomini che vogliono aiutarle». Attenti però. La lezione di Sheryl è tutto tranne quella di una carrierista di una volta: non è vero che le donne devono scegliere tra famiglia, figli e lavoro. Anzi proprio i figli sarebbero la forza tranquilla della loro ascesa: sempre che ci sia, appunto, il piccolo grande aiuto dei compagni.
Perché il problema vero di noi maschietti, alla fine, siamo noi maschietti. I sociologi spiegano che il cambio dei rapporti di forza in famiglia ha provocato un terremoto le cui faglie seguono spesso la condizione economica. Solo una percentuale minima di signorini — guarda caso i più ricchi ed educati — hanno resistito all’attacco delle mamme e mogli tigre. Gli altri cedono. O non si sposano (negli Usa la percentuale dei single ha superato quella degli sposati, 45,6 contro 44,9) oppure attingono, in tutto il mondo, a quel singolare mercato delle mogli che ha fatto proliferare i matrimoni tra stranieri ma culturalmente più consoni: gli uomini del primo mondo che scelgono le donne del secondo e terzo, come si diceva una volta.
La fine dell’uomo, insomma, è già tra noi? No, non c’è bisogno di arrivare al radicalismo di Johanna Sigurdardottir, il primo capo di stato al mondo dichiaratamente lesbica, che assumendo il potere nel 2009, all’indomani della terribile crisi finanziaria partita come
un’infezione proprio dalla sua Islanda, aveva accusato gli uomini di essere gli untori, distruggendo l’altrimenti sano sistema bancario nazionale. E aveva invitato l’intero paese, per la verità tra i più piccoli del mondo, a decretare finalmente la fine dell’“età del testosterone”. Però non sarà neppure un caso che «per la prima volta negli ultimi 25 anni abbiamo assistito in Russia al sorgere di un movimento che ha trovato la forza di sfidare il potere con il suo idealismo» dice a Repubblica l’ispiratore di Occupy Wall Street, Kalle Lasn, fuggito dalla sua Estonia proprio durante l’occupazione sovietica: «E quell’idealismo ha il volto beffardo delle ragazze di Pussy Riot».
E allora forse la fine dell’uomo si spiega davvero con quella bellissima metafora lanciata proprio da Hanna Rosin. Tre quarti dei 7.5 milioni di posti di lavoro persi in America per la Grande Recessione sono stati persi dagli uomini. Le industrie maggiormente colpite sono state quelle da sempre identificate come “macho”: costruzioni, industria manifatturiera, alta finanza. La recessione, s’è detto, è stata soprattutto una “man-cession”: una recessione di uomini. Viviamo tutti in un nuovo mondo. Una terra nuova per tutti. Ecco, gli uomini sono come quegli immigrati che nel nuovo mondo continuano a ragionare con la testa nel vecchio. E le donne invece sono gli immigrati capaci di adattarsi a nuovi usi e costumi. Non è più un mondo per soli uomini. Ma se non vogliamo trasformarlo in un mondo di uomini terribilmente soli non ci resta che seguire un esempio: quello delle donne.