Massimiliano Parente, Il Giornale 11/9/2012, 11 settembre 2012
I CRITICI? ASINI E PERMALOSI. FIRMATO TOM LANDOLFI
«I critici non capiscono nulla, e se per caso capiscono una cosa, eccoli gridare allo scandalo » rispose Tommaso Landolfi a Edoardo Sanguineti. Non era certo un attaccabrighe tipo Bernhard o Céline, o una testa calda come la Fallaci o Malaparte, ma quando si incazzava Landolfi non le mandava a dire, quando gliele facevano dire. Ecco perché il suo Diario perpetuo (Adelphi, pagg. 394,euro 28),è un’altra cartina tornasole per questo nostro Paese di zombie letterari, basta spulciarlo bene. Non si tratta per la verità di un diario vero e proprio, è la raccolta degli elzeviri scritti per il Corriere della sera dal 3 dicembre 1967 al 10 luglio 1979 e pagati benissimo, quindi in teoria una posizione molto establishment. Anche se non è tutto oro quello che luccica, qui ogni elzeviro è un messaggio in bottiglia dal proprio autoesilio in provincia, a Arma di Staggia, vicino Sanremo, e non si sa perché ma gli scrittori italiani grandi o piccoli finiscono spesso così, a piangersi addosso in qualche Bar Sport.
Ma Landolfi era uno scrittore extraterrestre e d’altri tempi, di una ricercatezza linguistica da cesellatore pari a D’Annunzio, e pur scrivendo elzeviri per campare ( «Già: come si può guadagnarsi la vita inventandosi elzeviri?»), dalla raccolta viene fuori tutta la gamma espressiva di Landolfi: il Landolfi fantastico della «piccola serie fantascientifica » Lassù , il Landolfi ironico che ti spiega il mondo come una lotta tra Spollatori e spollati, il Landolfi che medita sul senso della vita osservando un qualsiasi evento apparentemente insignificante, come un Porcellino di terra , racconto selezionato poi da Italo Calvino per la raccolta delle più belle pagine landolfiane. E poi è bello lasciarsi andare tra mariti cornuti e mogli fedeli, oggetti inquietanti e gatti telegrafisti, ricordi senza verbo e esperimenti inutili, dialoghi di primavera e cavallerie dei topi e, infine, fatti personali.
A proposito di fatti personali, infatti, il polso del clima letterario italiano, l’elettrocardiogramma piatto dell’ipocrita bon ton delle terze pagine,la fotografia dell’imbalsamato demi-monde letterario italiano, ce lo restituisce proprio l’ultimo elzeviro di Landolfi, quello mai pubblicato dal Corriere della sera .
«L’ultimo, Fatti personali , per il suo contenuto riguardante persone- una in particolare - viventi, è stato addirittura rifiutato; e a distanza di anni restituitomi infine nel dattiloscritto originale » ci informava in una nota Idolina, la figlia dello scrittore morta nel 2008. E cosa aveva scritto di tanto impubblicabile, per il Corriere della Sera , il povero Landolfi? Se l’era presa con Eugenio Montale («il Montale») e con il critico Leone Piccioni («il Piccioni»), e chissà quale panico in redazione quando si sono visti arrivare il pezzo. Certe cose in Via Solferino non si facevano allora e non si fanno oggi, sta male, le polemiche devono essere composte e quasi immobili, come un dialogo tra salme.
Nel suo ultimo elzeviro, dal Corriere «non giudicato adatto alla pubblicazione per i riferimenti a personaggi noti ivi contenuti» lo scrittore voleva solo raccontare di come il Piccioni, «il noto critico letterario e ( un tempo almeno) gerarca televisivo »commentò in televisione un’invettiva di Landolfi contro la critica, senza accorgersi che le parole citate erano dello stesso Piccioni. Un bello sputtanamento, fico. «In parole povere, egli non riconosceva la sua scrittura . Beh, io son di certo un uomo volgare, ma non al punto da richiamarmi al detto che “chi non conosce la sua scrittura...”». Insomma, Landolfi non voleva dire che il Piccioni era un asino ma glielo voleva scrivere in un elzeviro. E poi dicono che in Italia nelle terze pagine dei grandi quotidiani non succede mai niente, e per forza, ti censurano prima, il salotto di Madame Verdurin al confronto era un campo da rugby.
Inoltre nello stesso elzeviro Landolfi voleva rispondere a una critica di Eugenio Montale, che lo accusava di avere vezzi e manierismi settecenteschi, per esempio di aver usato in un libro l’espressione «allo stremo». Se è per questo Landolfi ne usa di peggiori, talvolta è così ostinatamente arcaizzante da far sembrare un articolo di Galli della Loggia orecchiabile come una canzone del Quartetto Cetra, ma in Landolfi è uno stile consapevole, una poetica precisa, è la sua lingua inconfondibile. E comunque Landolfi non ci sta, non ci voleva stare a farsele cantare da Montale, e gliele voleva cantare a sua volta. Non senza ragioni da vendere,perché«diavolo: ove s’abbia a significare “allo stremo”, in che dannata maniera si dovrà in buon italiano dire se non “allo stremo” o “all’estremo” o tutt’al più “agli estremi” (questo sì lezioso)? - Oh, beh, ne volete una prova? Eccola: posto a sua volta il Montale, per necessità di discorso o per astrazione dell’infido argomento, nell’occorrenza imprescindibile di dire “allo stremo”’, né volendo cedere alla locuzione testé stigmatizzata, che cosa ti inventa? Passa con disinvoltura a lingua sorella e cugina e scrive: aux abois! ». Ecco, sistemato anche il Montale, ma sul Corriere figuriamoci se il Montale si poteva toccare, e sappiate che il Piccioni ivi nominato di certo neppure oggi perché è vivente, e dargli dell’asino sarebbe ancora un scandalo, signore mie.