Elena Comelli, Nòva24 9/9/2012, 9 settembre 2012
UN MARE CHE DIVENTERÀ POTABILE
Soia alle stelle, grano a prezzi record. Per non parlare delle altre materie prime alimentari. Stati Uniti e Russia sono in preda alla peggiore siccità degli ultimi cinquant’anni e il mondo si avvia verso una nuova ondata di rivolte del pane.
Tutto per colpa dell’acqua. La correlazione fra cibo e acqua è molto stretta, visto che il 70% dell’acqua consumata sulla terra va in agricoltura. E l’oro blu manca ormai non solo in Africa o in Asia, ma anche in Europa. Le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente dicono che l’11% della popolazione e il 17% del territorio europeo sono affetti da carenza idrica, con un costo che nell’ultimo trentennio ha superato i 100 miliardi di euro. Non a caso, quest’anno la Green Week della Commissione europea è stata dedicata all’acqua. La Banca Mondiale stima che la quota globale di esseri umani a corto di acqua sarà del 45% (4 miliardi) nel 2050, contro l’8% nel 2000. La carenza non è uguale dappertutto: nove Paesi controllano il 60% della disponibilità globale. Cina e India, con oltre un terzo della popolazione mondiale, devono accontentarsi del 10% dell’acqua e stanno esaurendo le riserve del sottosuolo. Lo stesso accade in molte grandi città. Il 97% dell’acqua presente sulla terra, infatti, è salata e quindi inservibile.
Fra i vari tentativi, quello di rendere potabile l’acqua di mare è uno dei più persistenti. E, grazie ai recenti progressi tecnologici, è destinato a crescere in maniera esponenziale. In base a uno studio di Global Water Intelligence, gli investimenti negli impianti di dissalazione cresceranno dai 5 miliardi di dollari nel 2011 a 8,9 miliardi quest’anno e saranno 17 nel 2016. Il fattore cruciale alla base di questa crescita è lo sviluppo di tecnologie che consumano meno energia, come un processo chiamato "forward osmosis", che utilizza meno calore ed energia rispetto agli attuali impianti a osmosi inversa, e che potrebbe ridurre di ben il 30% il costo della dissalazione.
La moderna industria della dissalazione risale agli anni ’90, quando l’osmosi inversa, utilizzando una membrana porosa per filtrare il sale, ha ridotto l’energia necessaria per far funzionare i vecchi impianti a distillazione. Gli impianti a osmosi inversa hanno dimezzato i costi della dissalazione, producendo acqua a circa un dollaro per metro cubo. Un bel progresso, ma è ancora dieci volte il costo delle risorse idriche tradizionali. Con le nuove tecniche, i costi verranno ulteriormente abbassati. Ma non ci si ferma qui: ora si parla di filtri ai nanotubi di carbonio. E gli investimenti in ricerca sull’acqua stanno crescendo del 9% l’anno. Resta il fatto che la prima soluzione alle carenze idriche è l’utilizzo efficiente di questa risorsa, che al contrario del petrolio può essere agevolmente riciclata.