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 2012  settembre 09 Domenica calendario

SE IL PORCELLUM «REGALA» IL QUIRINALE AI VINCITORI

Lo stallo sulla riforma elettorale fa balenare la possibilità che alle prossime elezioni si possa tornare a votare con il vecchio sistema. È difficile crederci. Eppure qualcuno ci pensa. Magari proponendo qualche piccola modifica che renda la cosa meno impresentabile. Intendiamoci: l’attuale sistema di voto, fortemente voluto da Casini e da Berlusconi nel 2005, non è una "porcata" come quasi tutti continuano a ripetere. È però un sistema con molti difetti, come d’altronde lo era quello con cui si è votato dal 1994 al 2001 (la legge Mattarella). Non è questa la sede per farne l’elenco. Qui basti dire che oggi non c’è più il tempo materiale per poterli correggere. Per farlo bene si sarebbe dovuto riformare la Costituzione dopo il 1994 per adeguare il nostro modello di governo alla dinamica maggioritaria e bipolare incentivata dalle nuove regole elettorali, sia quelle del 1994 che quelle del 2005. Adesso è troppo tardi e l’unica soluzione per evitare esiti inaccettabili è quella di un ritorno a una qualche forma di proporzionale. Non deve sorprendere perché in fondo questo è sempre stato il sistema preferito dalla nostra classe politica. E adesso che Berlusconi è senza alleati anche il Cavaliere, una volta grande campione del maggioritario, si è adeguato.
A quale esito inaccettabile potrebbe portarci oggi l’uso del cosiddetto porcellum? Nella vulgata corrente sono le liste bloccate il problema maggiore. Ma non è così. In primis perché se usate bene potrebbero essere uno strumento utile così come avviene in altri paesi. E poi perché si potrebbero facilmente modificare anche ora. Il vero problema invece è il premio di maggioranza. Con le modalità attuali viene assegnato al partito o alla coalizione con più voti garantendo alla Camera il 54% dei seggi. Basta un voto più degli altri per vincere. Questo è il principio maggioritario. Anche con il 30% dei voti, o anche meno, si può arrivare alla maggioranza assoluta dei seggi e quindi fare il governo. Ma nel nostro sistema istituzionale il Parlamento elegge il presidente della Repubblica. Quindi la maggioranza "fabbricata" dal sistema elettorale servirebbe a conquistare entrambe le istituzioni.
In breve, se restasse in vigore l’attuale sistema le prossime elezioni sarebbero in un certo senso non solo parlamentari ma anche presidenziali, seppure senza candidati in corsa per la carica. È accettabile un esito di questo genere? Occorre distinguere. Un governo scelto dal 30% degli elettori è un esito legittimo per chi crede – come il sottoscritto – nella necessità storica del maggioritario oggi in Italia. Il partito socialista francese, come abbiamo ripetuto più volte, ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi con il 29% dei voti. Ma un presidente della Repubblica eletto con il 30% dei voti è una distorsione inaccettabile degli equilibri costituzionali. Per mantenere il premio così come è oggi occorrerebbe quanto meno alzare il quorum per la sua elezione: dalla maggioranza assoluta alla maggioranza qualificata. In questo modo scelta del governo ed elezione del presidente seguirebbero logiche distinte: maggioritaria la prima, consensuale la seconda. Ed è giusto che sia così, visto il ruolo di arbitro che il capo dello stato ricopre nel nostro ordinamento. Ma per far questo c’è bisogno di una riforma costituzionale che questo Parlamento non può e non vuole fare. In questo modo, continuando a rinviare il momento delle riforme istituzionali, la classe politica si è precostituita una "legittima" giustificazione per dare l’addio al maggioritario e tornare al proporzionale.
La restaurazione del proporzionale è il vero motivo della riforma in gestazione. Non volendo adeguare la Costituzione si farà una nuova legge elettorale eliminando un premio di maggioranza che nelle attuali condizioni non è difendibile. Il rischio che si torni a votare con il cosiddetto porcellum non esiste. C’è un solo partito che potrebbe avere interesse a farlo ed è il Pd. Stando così le cose, con questo sistema elettorale e l’attuale frammentazione delle intenzioni di voto, il Pd da solo, o insieme a Sel, potrebbe vincere governo e presidenza della repubblica con il 30% dei consensi o poco più. Potrebbe ottenere la maggioranza non solo alla Camera ma anche al Senato neutralizzando la lotteria dei 17 premi regionali che danneggiò Prodi nel 2006. Ma vincere – e governare – in queste condizioni è un rischio che il Pd non vuole correre. Dunque vincere sì, ma non troppo. Questa è la linea di Bersani. Ecco allora la preferenza per un sistema che renda necessaria – dopo il voto – una coalizione allargata ai centristi. Per Udc e Pdl non esiste scelta. Non correranno uniti e quindi sono destinati ad arrivare secondi. Meglio dunque anche per loro un sistema in cui i conti finali si fanno a urne chiuse. E così i giochi sono fatti. Per l’accordo definitivo mancano i "dettagli". Ma lo schema è questo. E alla fine non è detto che, anche grazie ad una riforma di questo tipo, non salti fuori il Monti-bis.