Maximilian Cellino, Il Sole 24 Ore 9/9/2012, 9 settembre 2012
QUEL COSTO OCCULTO DELLA «REPRESSIONE FINANZIARIA»
Gli interventi di salvataggio di banche e imprese con denaro pubblico, le manovre «lacrime e sangue» per evitare la deriva dei conti pubblici: la soluzione delle grandi crisi finanziarie presenta in genere un conto evidente da pagare per i cittadini. A volte però il costo può essere più nascosto, anche se potenzialmente altrettanto elevato: basta pensare ai mancati guadagni dei risparmiatori quando i rendimenti dei titoli di Stato di un Paese (sottoscritti per buona parte dai piccoli investitori domestici) vengono tenuti artificiosamente bassi e addirittura negativi in termini reali se si considera l’effetto penalizzante dell’inflazione (che invece resta relativamente elevata). Al risparmio dello Stato nel pagamento degli interessi del debito, in questo caso, corrisponde un effetto diametralmente opposto per il piccolo investitore.
Un fenomeno di questo genere è ben noto in ambito accademico con il nome di «repressione finanziaria». Non è un caso che torni d’attualità adesso, perché in fondo fotografa proprio ciò che sta avvenendo da qualche tempo in Europa, negli Usa e che potrebbe interessare a breve anche l’Italia. Dopotutto il meccanismo è semplice: per alleggerire il peso dell’enorme debito pubblico si riducono forzosamente i tassi. Basta porre limiti espliciti o indiretti ai rendimenti, intervenire in acquisto (è il caso delle Banche centrali di Usa, Giappone e Gran Bretagna e prossimamente anche della Bce), oppure introdurre liquidità in modo che gli stessi investitori finiscano per comprare i bond sovrani (è successo così con le aste a 3 anni della Bce e le banche europee).
A volte c’è bisogno di vincoli normativi per spingere gli operatori (istituzionali più che altro) a detenere titoli di Stato dai rendimenti reali negativi, altre è semplicemente la paura di possedere ogni altro strumento finanziario a muovere le scelte: «In molti Paesi – spiega infatti Johannes Müller, capo economista di Dws Investments – gli investitori retail tendono a preferire asset ritenuti sicuri come i titoli di Stato o i depositi bancari, che sfortunatamente sono proprio gli strumenti sui quali si soffrono le maggiori perdite di potere d’acquisto a causa dei rendimenti ridotti».
Esiste insomma una sorta di trasferimento della ricchezza dal creditore (gli investitori, privati e non) al debitore (in questo caso lo Stato), che non è semplice da determinare. Un recente studio di Deutsche Bank ha quantificato a livello mondiale in circa 163 miliardi di dollari il prezzo che i risparmiatori dovranno pagare nell’arco dei prossimi 10 anni a causa degli effetto delle politiche espansive delle banche centrali sui tassi dei bond sovrani. «Ma se si prendono ad esempio i precedenti di Usa e Gran Bretagna dopo la seconda guerra mondiale il conto potrebbe essere ben più salato», garantisce Müller. Forse non sarà la più pesante, ma di sicuro è la tassa più occulta per le famiglie.