Giordano Stabile, la Stampa 10/9/2012, 10 settembre 2012
KABUL, LA GUERRA PER LE MINIERE FRA I “PARTITI” AMERICANO E CINESE
Sono la gigantesca caparra che garantisce gli aiuti internazionali all’Afghanistan del dopo 2014, quando le truppe della Nato si saranno ritirate. Risorse minerarie valutate in mille miliardi di dollari dalla Banca Mondiale. Ferro, rame, cromo, smeraldi, gas naturale e petrolio. Gran parte dei giacimenti sono localizzati e ben conosciuti. Mancano le infrastrutture, la sicurezza, e i contratti con compagnie in grado di metterli a frutto. E soprattutto una legge quadro che garantisca gli investimenti. Il Parlamento afghano discute da due anni; la bozza, suggerita dalla Banca Mondiale, è pronta. Ma, la scorsa settimana, una fronda parlamentare l’ha bloccata di nuovo.
È una fronda particolarmente potente, guidata da Ashraf Ghani, consigliere del presidente Hamid Karzai. «Non possiamo permettere che il nostro patrimonio diventi una torta da spartirsi per gli altri», ha motivato la decisione. Karzai ha precisato che saranno coinvolti il ministero della Giustizia e altri dipartimenti per riformare la legge «e proteggere meglio gli interessi nazionali». Un leit motiv degli ultimi interventi del presidente. Ma in Afghanistan non c’è il know how né le aziende che possano aprire miniere. Lo scontro fra le fazioni parlamentari nasconde invece le mosse del «partito americano» e di quello «cinese», che si stanno disputando i contratti. Alle multinazionali i giacimenti, ai parlamentari amici, o ai loro parenti, lucrosi subappalti, come sottolinea Eleanor Nichol, della ong Global Witness.
Le linee guida della prossima legge, prevista fra tre-quattro mesi, diranno chi ha vinto. Per ora i bocconi più grossi se li sono presi i cinesi, ma in una cornice giuridica che non li garantisce. Nel 2010 Wahidullah Shahrani, il ministro delle miniere, e China Metallurgical hanno concluso gli accordi per il rame di Mes Aynak, a 30 chilometri da Kabul, con un potenziale fatturato di 1,2 miliardi di dollari. Lo sviluppo è ai primi stadi, complice anche l’attività dei taleban nella provincia di Logar. China National Petroleum ha concluso invece un accordo da 400 milioni, per un piccolo giacimento di petrolio nel nord. Una regione ricca anche di gas dove le prospezioni più promettenti sono in mano a Exxon Mobil.
Shahrani, in odore di «partito cinese», è fra i critici della legge bocciata dal Parlamento «perché troppo generosa con gli occidentali». Ma in realtà l’unico progetto in corso guidato da «occidentali», una joint venture fra canadesi e indiani, è quello per le miniere di ferro della Kalu Valley, nella provincia di Bamian. Se ne sono accorti i taleban che hanno intensificato gli attacchi contro le strade in costruzione. Il «grande gioco» delle miniere è insomma solo all’inizio, con un possibile superbingo: riserve di terre rare, essenzialiper l’elettronica, concupite da Pechino. Nel frattempo a scavare sono soprattutto compagnie improvvisate e cercatori di smeraldi e cromite nelle regioni orientali. Il commercio illegale con il Pakistan è in mano al network Haqqani. La legge sulle miniere serve anche a fermare i contrabbandieri. Un altro buon motivo per affossarla.