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 2012  settembre 09 Domenica calendario

“L’ITALIA SI NASCONDE PER PAURA DEL FUTURO”


Giuseppe De Rita, lei da mezzo secolo «misura» l’Italia con il Censis: che Paese è oggi?
«È un Paese che vive da due o tre anni con troppa paura. Prima o poi ne usciremo, si avvertono dei sintomi. Del resto non si può vivere sempre nella paura nemmeno durante la guerra. Per usare una parola inventata da me circa quarant’anni fa, l’Italia è un Paese sommerso. Si nasconde, si mette nell’ombra, non accetta più le sfide del passato, degli Anni 70. L’italiano sta sotto il pelo dell’acqua, ha perso ambizione. I figli stanno a casa a vivere con i genitori, non hanno lavoro. Si vive sotto il livello, nel bene e nel male».


Siamo diventati un Paese minore?
«Forse lo siamo sempre stati, ma negli Anni 70 quando c’era circa il 30% di economia sommersa e Craxi ha voluto includerla nell’economia complessiva, siamo entrati al tavolo delle grandi potenze, abbiamo saputo valorizzare il sommerso, poi il made in Italy, poi il design, è stata come una ventata d’aria fresca: adesso siamo meno capaci di tentare nuove avventure appunto perchè abbiamo paura».

Senza accorgercene siamo diventati europei?
«Guardandomi intorno, per esempio guidando lungo l’autostrada mi sono detto: “Siamo diventati tedeschi”. Il 40, 50 per cento delle auto sono Audi, Bmw, Mercedes che noi compriamo a caro prezzo. Le auto della signora Merkel. Siamo più tedeschi che europei. Si vede che per noi il vero punto di riferimento, nell’emulazione come nel sospetto, sono i tedeschi. La parola europeo è troppo generica».

Siamo ancora un Paese cattolico?
«L’Italia è ancora un Paese profondamente cattolico: se si va a Messa nei piccoli paesi del Sud come al Nord o in alcune parrocchie cittadine si trova una partecipazione profonda, di fede. È solo il 25% del Paese, il rimanente 75% non partecipa veramente al rito religioso, però secondo me 15 milioni di persone di fede sono una forza non indifferente. È vero che i cattolici non votano lo stesso partito ma hanno una fede forte, rappresentano una minoranza, ma hanno un peso importante».

Il Vaticano ha ancora molta influenza sull’Italia?
«Il Vaticano è lo Stato del Papa. È lontano dalla vitalità religiosa delle Chiese italiane. Mentre invece la Cei, il cardinale Bagnasco in primo luogo e i circa trecento vescovi sanno bene cosa avviene sul nostro territorio».

Cosa significa per il mondo cattolico la morte del cardinal Martini?
«Da una parte c’è stato un movimento superelogiativo e dall’altra una presa di distanza. C’è notevole differenza tra i cattolici su che risposta dare alla questione “Da dove viene l’identità”: viene, come sostiene Martini, nel continuo aprirsi, nel discutere, nel misurare se stessi con l’altro oppure no?».

Gran parte della gente vuole un’identità netta, non meticcia?
«Martini è visto con sospetto. La cultura cattolica italiana non ha ancora digerito i due grandi filosofi di origine ebraica Lévinas e Derrida, i filosofi dell’alterità: sono ancora sconosciuti ai più e poco letti nel mondo cattolico. Lévinas ha scritto “Il volto di Dio comincia dal volto dell’altro”, concetto che una parte dei cattolici italiani sente come un pericolo. “L’altro” fa paura, viene sentito come l’albanese, il lontano, il drogato. Chi esce dal mondo tradizionale e si rivolge agli altri è sospetto; questo vale anche per il Papa che è il titolare dell’identità della Chiesa. Però non vorrei che si fraintendesse, non c’è frattura, Martini ha cercato sempre il dialogo: ma il problema cruciale è se l’identità attuale va difesa o va creata una nuova identità diversa che passa attraverso il volto dell’altro».

Lei da che parte sta?
«Io sono naturalmente sul versante del rapporto con l’altro, ma non sono né dossettiano né martiniano, non ho particolari simpatie né per gli uni né per gli altri. Fa parte del mio lavoro la curiosità e l’apertura. Sono un osservatore attento dei venti esterni. Certo sono simile a Martini nell’apertura all’altro, ma non abbiamo nessun percorso comune».

Milano ha dimostrato una solidarietà e un affetto enorme verso il cardinale.
«Martini è sempre stato un grande personaggio, un fisico da atleta, una bella faccia, occhi straordinari e un insieme di qualità che ha imposto a tutta la diocesi. Avendo fatto per 22 anni il vescovo, la sua influenza, il suo potere carismatico sono stati grandi. È un “atleta della fede” come ce ne sono stati tanti a Milano: penso ad esempio a un prete molto simile nel fisico e nello sguardo a Martini, David Maria Turoldo, un prete, un grande poeta e un grande traduttore di salmi. Sembra che in un certo senso Milano ami una fisicità di qualità. Gli uomini di religione mediaticamente potenti hanno saputo parlare con il mondo e il mondo si riconosce in loro».

E la politica in Italia c’è ancora?
«C’è fino a quando ci sarà un Paese e una democrazia. Se dobbiamo però parlare di alleanze, di legge elettorale non mi diverto».

Come vede la classe dirigente?
«Lasciamo perdere i politici. La classe dirigente sta cambiando nelle medie aziende, nelle banche intermedie ma anche nelle società quotate in borsa. Arriva gente più giovane, più spregiudicata che vuole comandare e i vecchi nomi scompaiono. Se si facesse il gioco di vedere dove stanno i potenti di quindici anni fa se ne trovano al massimo uno o due. Sono arrivate invece centinaia di persone giovani che occupano tutti gli spazi intermedi ormai e non vengono dalla politica».

Il fenomeno Beppe Grillo?
«Siccome ne parlano tutti, aspetto di capire, per ora preferisco stare zitto».







In sintesi si può dire che oggi il paese sta peggio?
«Certo dal 1970 al 2000 il paese era ricco, vivace, quei trent’anni sono stati particolari, molto favorevoli. Comunque non credo che sia un Paese in grande declino».

I problemi di fondo non cambiano però?
«Il vero grande problema è il debito pubblico che diminuisce la sovranità della politica. Se non c’ la sovranità non si può fare nessun cambiamento strutturale serio. Si fanno piccole cose, ma non si può affrontare la vera riforma».

Come si fa a far scendere il debito pubblico?
«Dopo che Monti ha salvato l’Italia, in questo ultimo anno, il problema vero è che adesso bisogna mirare almeno per cinque anni soltanto a quello».

Monti è stato bravo secondo lei?
«Mi sembra che l’abbia dimostrato».

Dovrebbe rimanere lui come premier?
«Questo riguarda una dialettica politica che nessuno può controllare neppure Monti».

E quali sono le sue riflessioni oggi, le sue preoccupazioni?
«Le mie preoccupazioni sono da cinquant’anni una sola: far sbarcare il lunario al Censis».