Giampaolo Visetti, Affari & Finanza, La Repubblica 10/9/2012, 10 settembre 2012
FAR EAST
La Cina continua a trainare il mercato mondiale del lusso, ma pone al settore un problema nuovo: i consumatori cinesi di fascia alta vogliono sapere di essere apprezzati dai loro fornitori e pretendono che tutti lo sappiano. La questione è cruciale anche per l’Europa, epicentro dei marchi più ambiti a livello globale. La Cina vale più del 50% delle loro vendite e in alcuni settori supera il 70%. Le famiglie cinesi con un reddito annuo superiore ai 30mila euro rappresentano quasi l’80% del mercato interno del lusso, prima piazza del pianeta. I ricchi della seconda economia mondiale spendono in media 5mila euro ogni due mesi in articoli di lusso, con punte di 20mila euro mensili. E’ la ragione per cui i colossi del settore non possono più ignorare le pretese dei loro clienti più prodighi e stanno sconvolgendo storiche strategie di marketing. La domanda cruciale a cui ora sono chiamati a rispondere è: come può l’azienda far sentire realmente speciale la seconda generazione dei clienti dell’Asia, fatta di milionari disposti a spendere solo per acquistare privilegi unici? I grandi marchi aprono così uffici totalmente dedicati ai «clienti cinesi molto importanti», incaricati di sviluppare relazioni dirette con gli acquirenti che sostengono i bilanci aziendali. Gli inglesi puntano su viaggi omaggio che prevedono visite a mostre fotografiche e musei. Una nota casa di abbigliamento offre incontri privati con i propri stilisti e con i top manager, disponibili a tour esclusivi nei negozi.
In Cina la conoscenza personale è fondamentale e un’indagine di McKinsey rivela che se un ricco cliente entra i contatto con chi lavora per lui, spende fino al 40% in più. Gli investimenti «acchiappa-ricchi» sono assai maggiori delle normale spese pubblicitarie, ma la principali aziende confermano che «in Cina oggi vale la pena sforzarsi e sforare i budget per loro». Un marchio top francese in autunno porterà i suoi clienti asiatici a seguire le sfilate di Parigi, mentre un altro ha allestito una flotta di jet-navetta a disposizione per chi abita in città e villaggi cinesi ancora sprovvisti di un monomarca. Nessuna griffe può più permettersi in Asia di non produrre abiti su misura e capi unici, ma le tecniche adottate da lungo tempo a livello globale non bastano più. La fascia alta, spaventata dall’idea di spendere molto per beni che minacciano di rivelarsi di massa, lascia gli storici marchi stranieri e si orienta verso prodotti nazionali di nicchia, frutto della creatività di stilisti e designer esordienti che assicurano articoli in esclusiva personale. Di qui il boom dei “benefit” che sconvolge in Cina la battaglia per i nuovi adepti del lusso. Si va da chi assume commessi incaricati di diventare amici e confidenti dei clienti, o psicologi che devono seguire i grandi acquirenti per farli sentire meno soli, fino a chi organizza tour in elicottero in Mongolia per regalare soggiorni in resort e tornei di polo in cammello. L’ordine aziendale è «offrire esperienze a cui nemmeno un miliardario avrebbe mai pensato» tra cui loft privati in boutique dedicate, dove chi acquista può disegnare e firmare il proprio prodotto con il sostegno dei più ricercati stilisti del mondo. Si moltiplicano anche le agenzie di consulenza specializzate, capaci di organizzare week-end di shopping a New York, con concerto finale all’Opera di Vienna. Tutto ciò è frutto del boom dei negozi di lusso in Cina, con le società più importanti impegnate ad aprire centinaia di punti vendita all’anno per non cedere alla concorrenza il mercato. Il ceto medio cinese però fa fuggire l’élite e i leader del mercato rischiano di scoprire che «l’esclusivo» è già «di massa»: e che imporlo comincia a costare troppo.