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 2012  settembre 10 Lunedì calendario

Class action, con la nuova norma lo strumento potrebbe decollare – Class action, uno strumento dalle grandi potenzialità ma ancora inutilizzato

Class action, con la nuova norma lo strumento potrebbe decollare – Class action, uno strumento dalle grandi potenzialità ma ancora inutilizzato. Gli avvocati d’affari tracciano un primo bilancio sull’azione collettiva in Italia anche alla luce delle modifiche introdotte con il cosiddetto decreto competitività (art. 6 del decreto legge 24.01.2012 n. 1, convertito dalla legge 24.03.2012 n. 27). «Certamente la modifica apportata dal decreto sviluppo che permette la tutela di diritti “omogenei” e non più solo di diritti “identici”, permetterà di ricorrere più di frequente a tale forma di tutela», commenta Silvia Doria, socio e responsabile del dipartimento dispute resolution di De Berti Jacchia Franchini Forlani. «In generale, comunque, la normativa attuale non rende tale azione particolarmente “attraente” né per i consumatori/utenti né per i tecnici del diritto che potrebbero avere interesse a sollecitarla. I primi, infatti, non si sono ancora visti risarcire somme meritevoli dell’azione, i secondi hanno spesso incontrato difficoltà a superare il giudizio di ammissibilità, dunque addirittura la fase filtro della procedura». Per Bruno Giuffrè, partner responsabile del dipartimento di litigation di Dla Piper, «allo stato non mi sembra che l’azione collettiva rappresenti un’alternativa efficace rispetto all’azione risarcitoria individuale. Almeno fino alla recente riforma, considerato che le prime pronunce sulle class actions non sono state particolarmente incoraggianti avendo negato in diversi casi la sussistenza dei requisiti di ammissibilità dell’azione, credo che i consumatori abbiano continuato a preferire l’azione risarcitoria individuale». Per Francesca Rolla, partner di Hogan Lovells «la previsione di un “filtro” di ammissibilità, contenuta nella normativa, è senza dubbio opportuna, come testimonia il fatto che la maggior parte delle class action proposte sono state dichiarate inammissibili. Ciò conferma come questo nuovo strumento sia stato sino a ora utilizzato con troppa disinvoltura dalle associazioni di consumatori». Molto più critico, invece, Francesco Maruffi, managing associate del dipartimento dispute resolution di Simmons&Simmons, per il quale «la class action si è rivelata per ora un flop nel nostro ordinamento e non ha prodotto le maxi cause tipiche degli Stati Uniti. In Italia la class action stenta ancora a decollare nonostante gli iniziali proclami delle associazioni dei consumatori e, sotto un profilo statistico, le azioni di classe che hanno superato la fase di certificazione si contano sulle dita di una mano. Ciò è dovuto a vari fattori, da un lato di tipo culturale ma anche e soprattutto alla struttura della class action italiana ai casi limitati in cui la stessa può essere promossa e non ultimo il tema dei costi connessi all’attività contenziosa». «Abbiamo sempre ritenuto che si tratti di una buona legge e le sue prime applicazioni confermano la nostra valutazione», ribatte Daniele Vecchi, partner del dipartimento contenzioso dello studio Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners. «Non riteniamo che una legge per essere buona debba dare ragione agli attori a scapito dei convenuti. Le decisioni emesse sono condivisibili. La maggior parte delle domande è stata rigettata, questo più per la scelta di promuovere cause anche avventate, forse per attirare l’attenzione più che per difetti della legge, e dove sono state promosse azioni meritevoli di accoglimento, la class action è stata certificata». Di flop e di vizio annunciato parla Fabrizio Arossa, partner di Freshfields Bruckhaus Deringer: «Il vizio originale sta nell’avere introdotto la class action nel Codice del consumo, limitandone ab origine l’applicazione al risarcimento del danno nell’esclusivo ambito dei rapporti di acquisto di beni o servizi tra imprese e consumatori. Sarebbe stato preferibile introdurla nel Codice di procedura civile per farne, come in altri ordinamenti uno strumento processuale attivabile in ogni caso in cui ci sia una prevalenza di elementi di fatto o diritto comuni rispetto agli elementi individuali, tale da prestarsi a un accertamento standardizzato dei presupposti di responsabilità di un soggetto verso una pluralità di parti. Tanto è vero che la maggior parte delle cosiddette “class actions” che vengono annunciate di continuo non sono affatto class actions previste dalla normativa italiana ma azioni plurindividuali promosse magari da un unico avvocato. Inoltre, l’averne escluso l’applicazione a fatti/illeciti precedenti la sua approvazione ne ha ulteriormente “sminuito” la potenzialità». Secondo Filippo Casò, socio di Pedersoli e Associati, «i veri limiti della disciplina attengono al diritto sostanziale e non a quello processuale: cioè al fatto che le azioni di classe si possono promuovere solo nelle fattispecie tipizzate dal legislatore (art. 140-bis, secondo comma, lett. a-b-c) e non anche in molte altre situazioni in cui sarebbero invece estremamente utili. Si pensi alle azioni ex art. 2043 del codice civile, nel cui ambito rientrerebbero, ad esempio, le cause risarcitorie in materia di amianto». Guardando alle recenti modifiche introdotte che giudizio dare? Per Ferdinando Emanuele di Cleary Gottlieb, «la rappresentanza della classe potrebbe essere attribuita e disciplinata in modo da garantire una più efficace tutela e una migliore difesa processuale a tutti gli aderenti. Un utile riferimento potrebbe essere costituito dalle figure del lead plaintiff e del lead counsel a cui il diritto statunitense affida la conduzione della class action». Per Filippo Casò, invece, «la riforma più urgente non è sul piano processuale, ma su quello sostanziale. Amplierei cioè l’ambito di applicazione della norma in modo da includere qualunque fattispecie, nessuna esclusa. Sul modello americano, prevedrei poi che la “classe” possa anche essere convenuta, e non solo attrice, come oggi. Questo sarebbe utile in caso di violazione dei diritti d’autore per poter più facilmente agire contro tutti i responsabili in un unico contesto». Secondo Silvia Doria, «per quante modifiche si possano apportare, è una normativa che, anche al giusto fine di tutelare le imprese da eventuali abusi da parte dei consumatori/utenti, non potrà mai essere eccessivamente semplificata. In Italia, vi sono inoltre insormontabili limiti dettati dai principi costituzionali, di ordine pubblico, di procedura civile e di norme di deontologia professionale che impediscono di modificare la class action per renderla di semplice accesso, come è quella americana. Non è pensabile la sostituzione dell’attuale sistema di adesione di put-in right con il sistema contrario di put-out right quale quello statunitense, e nemmeno pensabile l’intera anticipazione delle spese da parte di uno studio legale, per esempio per pagare la pubblicità o per la considerevole attività istruttoria che dovrebbe essere condotta per individuare un vero class representative». Per Giuffrè, «nonostante l’intervento di inizio 2012 (che ha modificato il requisito dell’identità dei diritti azionati in semplice omogeneità), l’azione collettiva non rappresenti comunque uno strumento pienamente efficace. Se si considera infatti che non sono tutelabili mediante la class action situazioni giuridiche che richiedono un accertamento, anche probatorio, delle posizioni individuali dei singoli, il suo ambito di applicazione sembra escludere proprio quelle fattispecie (in primis i crack finanziari) che hanno dato origine a un contenzioso massivo negli ultimi anni e per le quali la tutela collettiva sarebbe più necessaria». Premesso che ogni strumento è per sua natura perfettibile, dice Paola Ghezzi, di Cms Adonnino Ascoli & Cavasola Scamoni, «il ricorso all’azione di classe dovrebbe essere preceduto dall’utilizzo di altri strumenti finalizzati all’eliminazione della situazione di pregiudizio. Il nostro ordinamento si è evoluto molto negli ultimi anni e spetta a noi, operatori giuridici, utilizzare le nuove opportunità in modo non speculativo e spregiudicato, ma in forma tale che i diretti interessati ne traggano veramente beneficio». «L’attuale normativa (art. 140-bis del Codice del consumo che contiene le disposizioni sull’azione di classe) non è particolarmente complessa, sicché non riterrei necessaria una modifica con finalità di semplificazione. Potrebbe invece essere opportuna una riforma complessiva dell’istituto dell’azione di classe», aggiunge Rolla. Federico Unnia