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 2012  settembre 10 Lunedì calendario

IO, PRIMARIO BEN PAGATO PER NON FARE NIENTE


LA SUA storia è un viaggio di sola andata nelle pieghe dell’assurdo burocratico, dove accade che uno dei più bravi chirurghi d’Italia da 18 mesi venga pagato, e bene, per non operare. Domenico Scopelliti si sente quasi in colpa quando scandisce la cifra: «Il sistema sanitario mi paga 5 mila euro netti al mese».
«MI PAGA per stare ogni giorno sei ore e venti nella clinica di Villa Betania senza fare niente. Mi hanno tolto il reparto e nonostante il Tribunale del lavoro abbia ordinato il mio reintegro, la Regione ha bloccato l’assunzione dei due chirurghi necessari alla riapertura dell’ambulatorio. L’unica operazione che faccio è timbrare il cartellino. I miei pazienti? Li opero gratis nei giorni liberi ».
Eppure Scopelliti di quella struttura, la casa di cura Villa Betania che fa parte dell’ospedale Santo Spirito a Roma, è il primario di chirurgia maxillo facciale dal 2000. E a marzo di quest’anno è stato anche nominato capo dipartimento di chirurgia di tutta l’Asl Roma E. Ma la sua carriera oggettivamente brillante (ha 51 anni e un curriculum lungo 40 pagine, tra cui spiccano 38 missioni mediche internazionali, il titolo di Cavaliere della Repubblica nel 2008, una sfilza di premi e riconoscimenti e il vanto di essere stato l’unico italiano invitato a parlare al congresso mondiale di malformazioni cranio facciali, tenutosi a maggio di quest’anno) è sbattuta contro il Piano di rientro della Regione Lazio sulla sanità. Un Piano che fa acqua da tutte le parti, bocciato dal ministero nell’ultima verifica di luglio. Le disavventure di Scopelliti, e uno dei più inspiegabili casi di spreco di denaro pubblico, cominciano proprio con quel Piano.
Il 30 settembre 2010 il presidente Renata Polverini decreta la
chiusura del suo reparto di chirurgia maxillo facciale. Nel Lazio ce ne sono 8, troppi per il budget regionale. Scopelliti e la sua équipe, tre chirurghi e un odontoiatra, sono però tranquilli. Hanno 350 pazienti in lista d’attesa e altri 500 in corso di cura. «Pensavo che ci avrebbero spostato all’ospedale San Camillo — ricorda Scopelliti — dove c’era un posto da primario vacante. Siamo dipendenti pubblici, in un modo o nell’altro, pensavamo, ci avrebbero fatto lavorare». E invece si sbagliava.
A marzo del 2011, dopo due proroghe, il reparto a Villa Betania chiude. E parte la giostra del ridicolo. La Asl e la Regione non comunicano trasferimenti. Scopelliti chiede informazioni, ma
nessuno sa niente. Dopo tre mesi a rigirarsi i pollici, pagato in quel momento 3.200 euro netti al mese, fa domanda alla Asl di “aspettativa per inattività forzata”. Il 7 luglio 2011 pare accendersi una luce, perché gli arriva la lettera dalla Regione che gli annuncia il trasferimento al San Camillo. «Pensavo che avrei ricominciato a operare — ricorda oggi Scopelliti — era il momento giusto perché i miei pazienti si erano un po’ dispersi e chi aveva potuto si era rivolto a strutture private». Neanche per sogno, perché il 31 agosto 2011, la sera prima di trasferirsi, un’altra lettera della Regione annulla tutto.
Il tira e molla va avanti ancora per sette mesi, durante i quali a Scopelliti chiedono prima di elaborare un piano di riorganizzazione che non avrebbero mai realizzato, poi di dedicarsi a operazioni ambulatoriali come l’estrazione dei denti del giudizio. A marzo di quest’anno, quando viene nominato capo dipartimento nonostante i mesi di inattività, decide di autodenunciarsi al Tribunale del lavoro di Roma. Vuole solo fare quello per cui è pagato. Il suo stipendio è arrivato a 5mila euro netti al mese, chiede il reintegro nelle sue mansioni.
Il Tribunale ci mette poco più di due mesi a dargli ragione. Il reparto va riattivato, Scopelliti deve tornare ad operare nelle sue funzioni di primario. Nella sentenza con cui viene rigettato il reclamo della Asl Roma E, il giudice riconosce la corresponsabilità della Regione Lazio «la quale oltre a tenere una condotta incostante e contraddittoria — scrive — non risulta aver dato riscontro alle reiterate risorse avanzate dalla Asl in questione». Tant’è che tutte le carte prodotte nel processo sono state trasmesse alla procura di Roma e alla Corte dei Conti. Tutto risolto, dunque? Macché.
Nonostante la sentenza del Tribunale, nonostante il chirurgo e la sua équipe abbiano denunciato la loro costosissima inattività anche davanti alle telecamere di La7 e Striscia la Notizia, i pazienti rimasti in lista di attesa sono ancora lì che attendono. Perché la vicenda kafkiana di Scopelliti si è arricchita dell’ultimo capitolo. La riapertura del reparto, disposta finalmente dalla direzione generale della Asl Roma E, si è bloccata di nuovo pochi giorni fa per le due assunzioni necessarie per arrivare al numero minimo di 5 medici. Per questioni di tagli alla spesa, la Regione le ha impedite in barba all’ordinanza del giudice. E quindi Scopelliti
continua a non operare.
«Non lo posso fare per il sistema sanitario che mi dà lo stipendio — spiega — ma il sabato opero gratis i pazienti urgenti nella clinica Sanatrix di Roma». È una struttura privata, ha messo a disposizione la sala operatoria a Scopelliti e ad altri medici del progetto “Sorrisi in Italia” della fondazione Operation Smile, che cura gratis nel Terzo Mondo bambini affetti da labbro leporino, palatoschitosi, ustioni e altri traumi. «Ne ho già operati una cinquantina — racconta — bambini italiani, non di qualche paese sottosviluppato, che altrimenti nel Lazio sarebbero finiti in lunghissime liste d’attesa». Succede in Italia, Terzo Mondo.