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 2012  settembre 10 Lunedì calendario

COSA SUCCEDE QUANDO IL CERVELLO SI IMBATTE IN UN’EQUAZIONE

Tra qualche giorno, il 18 settembre per l’esattezza, si svolgerà alla Scuola Internazionale di Studi Superiori (SISSA) di Trieste un convegno specialistico organizzato sulla scia della visita di Noam Chomsky, l’insigne linguista del MIT (Massachusetts Institute of Technology). In tale augusto consesso, il noto neuroscienziato francese Stanislas Dehaene presenterà per la prima volta una sua scoperta su aree cerebrali che si attivano specificamente quando un soggetto esperto in matematica osserva una formula. Tali aree non si attivano, invece, quando una persona ignara di matematica osserva quella stessa formula. Dehaene, professore al Collège de France a Parigi, può fregiarsi di una lunga serie di scoperte, internazionalmente apprezzate, sui meccanismi cerebrali soggiacenti svariati fondamentali processi cognitivi, in special modo, ma non solo, la lettura dell’aritmetica. Anticipando la sua presentazione a Trieste, gli chiedo come questa scoperta si connette con gli studi linguistici di Chomsky. «Alcuni anni orsono, in un noto lavoro pubblicato in Science, Chomsky, Marc Hauser e Tecumseh Fitch suggerirono che un aspetto fondamentale dell’evoluzione del linguaggio è stata l’emergenza della nostra capacità ricorsiva, cioè il poter applicare ripetutamente un’operazione sintattica al prodotto di tale identica operazione già precedentemente effettuata. I simboli, in altre parole, sono incassati uno dentro l’altro e la nostra mente procede dall’interno verso l’esterno. Ebbene, aggiunge Dehaene, nelle formule matematiche abbiamo un processo molto simile, anzi identico. Le parentesi, nelle formule, sono incassate una dentro l’altra e racchiudono dei simboli matematici».
Gli chiedo un esempio molto semplice e mi fornisce il seguente, noto a molti di noi fino dalla scuola media. Moltiplicando (a+b) per (a-b) si ottiene a2-b2. In formula: (a+b)(a-b)= a²-b². Poi precisa che, mentre molti studi, compresi i suoi in anni recenti, hanno esaminato il funzionamento del cervello nel dominio del linguaggio, poche analisi sono, invece, state fatte su come il cervello analizza le formule matematiche. La lacuna viene adesso colmata da Dehaene e dai suoi colleghi Mariano Sigman, Masaki Maruyama e Christophe Pallier. In sostanza, hanno analizzato sia i movimenti oculari che le attivazioni cerebrali in soggetti che osservano formule molto semplici, come 4-((2+3)x5). Il metodo per calcolare questa formula consiste nel completare le operazioni entro la parentesi più incassata (ottenendo ovviamente 5), poi passare alla parentesi subito piu esterna, ottenendo 25, infine operare la sottrazione, ottenendo –21 (si noti il segno meno).
Prosegue: «I soggetti che hanno seguito almeno un corso universitario in matematica operano su tali formule in modo molto rapido. Il loro sguardo subito si fissa sulla parentesi (2+3), la più interna. Poi passa a quella più esterna e infine alla sottrazione. In meno di 200 millisecondi, le aree visive ventrali elaborano questa formula e passano il risultato alle aree parietali, già da noi individuate in passato come deputate al calcolo dell’aritmetica. Molto importante è sottolineare che le aree deputate al linguaggio non contribuiscono affatto all’elaborazione mentale delle formule matematiche. Si noti bene che una formula viene elaborata come fosse una singola parola, e quindi, come ben sappiamo, si attiva il giro (o circonvoluzione) fusiforme». Gli chiedo di spiegare di che si tratta.
«Abbiamo mostrato in lavori precedenti che il giro fusiforme si adatta in modo speciale alla lettura, è attivo in chi ora sta leggendo queste righe. Quando impariamo a leggere, una regione nella corteccia visiva ventrale sinistra, chiamata appunto "area visiva della forma delle parole", viene attivata, tanto più quanto più rapidamente sappiamo leggere. I lettori italiani possono trovare i dettagli in un mio libro intitolato I Neuroni della Lettura (Raffaello Cortina 2009). La sequenza di lettere che formano la parola viene identificata indipendentemente dalla taglia, carattere tipografico, maiuscolo o minuscolo di quelle lettere». In sostanza, conclude Dehaene, «questi nuovi risultati mostrano che, in soggetti matematicamente ben istruiti, un’area distinta ma vicina, appunto, il giro fusiforme, si attiva durante il riconoscimento visivo delle formule matematiche». Torniamo un momento all’ipotesi di Chomsky.
Cosa ci dice questa scoperta? Dehaene così risponde: «Non esiste un singola area di segmentazione dei simboli, di fusione sintattica delle parole, di ricorsività. In particolare ci si riferisce alla ben nota area cerebrale linguistica di Broca. La facoltà di ricorsività, il procedere dall’interno all’esterno quando elaboriamo dei simboli incassati uno dentro l’altro, è distribuita lungo molteplici aree cerebrali». Mi cita un passaggio di Einstein, nel quale il grande fisico dichiarava la totale estraneità del linguaggio, orale o scritto, nella formazione dei suoi pensieri. Simboli, immagini (alcune nette, altre inizialmente sfuocate) e la loro ricombinazione mentale erano la fonte delle idee di Einstein, non il linguaggio. Linguaggio e matematica sono tra loro dissociate, e qui Dehaene mi cita i lavori pionieristici dell’italiano Martin Monti, in collaborazione con l’americano Daniel Osherson. Gli chiedo se queste scoperte possono dirci qualcosa su come meglio insegnare la matematica e su come superare la tanto diffusa paura della matematica. Sorride ed evita di rispondere. Lascio ai lettori e ai professori di matematica trarre le loro conclusioni.
Sarà interessante sapere quali conclusioni trarrà Chomsky da questa scoperta.
Massimo Piattelli Palmarini