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 2012  settembre 10 Lunedì calendario

LA STRAGE DI TRE DONNE PER UN AMORE PROIBITO - È

mattina presto nel palazzone di cemento — cimitero per viventi, case popolari. Suonano alla porta. Due donne si domandano con gli occhi chi può essere a quest’ora. Sono una madre anziana e la figlia, giovane vedova, e stanno facendo colazione. Una terza, una cugina, dorme ancora nel divano letto.
Aprono. Facce familiari venute da lontano. Sorrisi tirati. Perché anche i nemici all’inizio sono amichevoli. Poi cominciano a sparare. L’aroma di caffè si mischia con l’odore della polvere da sparo, e del sangue. Ma questa non è solo una storia di morte. Questa è soprattutto una storia d’amore.
Maria Teresa Gallucci, quarant’anni. Nicolina Celano, oltre i settanta. Marilena Bracalia, appena venti. A ucciderle — a Pegli, lontana un migliaio di chilometri dalla loro terra d’origine — la ‘ndrangheta. È il 18 marzo del 1994, ma ci sono voluti diciotto anni per giungere alla verità. I pezzi del mosaico c’erano tutti. Ma, come spesso accade in questi casi, se n’è perso uno, il più importante. Chi.
Maria Teresa Gallucci ha sposato l’uomo sbagliato, un muratore affiliato alle cosche che un giorno cade da un’impalcatura lasciandola vedova con tre figli a soli venticinque anni. Passa il tempo e Maria Teresa s’innamora. Stavolta è lei la donna sbagliata per qualcuno. Cercano di fare le cose di nascosto, ma non gli riesce. Anche l’amante è vicino alla ‘ndrangheta, ma ciò non fa differenza per gli altri affiliati. Esiste un codice d’onore per cui la vedovanza è irreversibile, esattamente come la morte che l’ha generata. Spezzare il legame fra i vivi e i morti significa mettere in discussione la radice sacra di un patto criminale: la famiglia. Perciò i morti sono come i vivi, e le loro mogli vivono come fossero morte. L’amante di Maria Teresa rimedia nove pallottole per lo sgarro, lei fugge in Liguria, da parenti. Spera di aver messo una distanza di sicurezza fra sé e il passato, fra sé e la bocca delle pistole che la cercano in silenzio per completare la vendetta che risanerà l’onore. Non ci mettono molto a scovarla. A farne le spese insieme con lei, l’anziana madre e una giovane innocente che non sa nulla di cosche e di codici.
I magistrati liguri si lanciano con tutte le energie per risolvere l’enigma della strage. Comprendono l’assurdo meccanismo, anche il movente. Ma sono sviati da una circostanza che sembra una certezza. Pensano che l’autore sia il figlio maggiore della Gallucci, Franco, un giovane che ha gettato al vento gli studi di Economia per raccogliere l’eredità paterna all’interno della cosca. Si trova a Genova in quei giorni ed è naturale pensare che sia stato lui a lavare l’onore di famiglia. Ma troppi dettagli non tornano e se Franco non è colpevole, allora l’indagine inizia ad arenarsi. Deve trascorrere tanto tempo prima che il meccanismo si rimetta in moto. Ma, tanto, i morti non invecchiano. I morti possono aspettare.
Tre donne massacrate nel 1994 e tre donne che si trovano l’una di fronte all’altra, adesso. Sono due magistrate in un aula bunker di Roma che raccolgono le dichiarazioni di una pentita di ‘ndrangheta, Giuseppina Pesce, che con coraggio sta facendo luce sui misteri della famiglia criminale da cui proviene. Come spesso accade, alla strage di Pegli si arriva quasi per caso durante la deposizione. E Giuseppina inchioda Domenico Leotta e Francesco Di Marte come gli autori materiali sostituitisi all’ultimo momento al figlio maggiore di Maria Teresa perché il ragazzo alla fine non se l’era sentita.
In queste culture dell’omicidio che chiamiamo mafie c’è un punto debole. Il sospetto è che si usi l’onore per coprire una paura reale. Maria Teresa Gallucci non è stata ammazzata solo per ossequio a uno sposo morto, ma perché aveva osato ribellarsi a una legge secolare. Sono stati i maschi a creare le mafie. Le donne sono state e sono loro complici. Ma cosa accadrebbe se mogli, madri, figlie e sorelle decidessero tutte insieme che è finita? La risposta spaventa gli uomini con la pistola.
Donato Carrisi