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 2012  settembre 09 Domenica calendario

L’AZIONE DI DRAGHI E L’IDEA DI MERCATO

Angela Merkel tuona: «I mercati sono contro i popoli». La cancelliera tedesca è democristiana, non socialdemocratica. Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea (Bce), promette di usare tanta moneta quanta sarà necessaria a garantire la sottoscrizione dei titoli di Stato dei Paesi che lo richiedano impegnandosi, a loro volta, a una maggior disciplina finanziaria. Per evitare spirali inflazionistiche, Draghi dice che venderà altri titoli così da non stampare altra moneta. Draghi non è un «rosso». È l’uomo che ha debellato lo Stato imprenditore. Ha lavorato in Goldman Sachs. Eppure, il Financial Times considera la sua mossa un azzardo morale. Strano. La Federal Reserve americana e la Bank of England da 5 anni stampano moneta a rotta di collo senza che i governi prendano seri impegni sui bilanci pubblici. Ma in quel caso ogni mezzo è buono per sopravvivere.
Senza questo intervento, spiega Draghi, la politica monetaria della Bce viene distorta dalla speculazione. È vero da 3 anni: da quando è iniziata la crisi dei debiti pubblici europei, innescata dalla recessione provocata dal contagio della crisi originaria di Usa e Regno Unito. Draghi, dunque, si è mosso quando ha potuto. E la Banca d’Italia, di rincalzo, proclama che i fondamentali dell’economia nazionale giustificano uno spread del 2% tra i nostri titoli e quelli tedeschi, e non uno spread del 4-5%.
Il messaggio, che viene da questi fatti recenti, può venire sovrastato dalla campagna elettorale americana, laddove il rumore ideologico repubblicano oscura il fatto remoto — remoto si fa per dire — che la Grande Crisi prende avvio dall’insolvenza di massa dei poveri: sì, dei poveri indotti a far debiti per consumare case, auto, istruzione, vacanze, sanità nel presupposto che l’industria finanziaria avrebbe talmente frazionato su scala mondiale l’effetto delle insolvenze da cancellarne ogni impatto reale sulle banche. Presupposto sbagliato. E ora la sequenza dei fatti recenti, sempre più duri delle chiacchiere, ci costringe a ripensare il concetto del mercato: a farlo evolvere dalla sudditanza agli stilemi anglosassoni, che erano alla base dello stesso Trattato di Maastricht, verso un’idea più propriamente radicata nella cultura dell’Europa carolingia. Un’evoluzione che richiede ricerca di nuove verità, consapevoli che ne esistono di rivelate. In quale tavola della legge sta scritto che si devono proibire i cartelli tra imprese e non i cartelli tra azionisti della stessa impresa; oppure l’abuso degli aiuti di Stato in Europa, ma lasciando le imprese libere di andarseli a trovare fuori. I mercati sono fatti di eccezioni e di contraddizioni.
Ignazio Visco ci sta dicendo che, dopo aver fallito nel prezzare il rischio di controparte nel settore privato, il mercato finanziario non riesce a far meglio con il debito pubblico. Draghi ora distorce il mercato finanziario dato nella speranza di generarne uno migliore. Forse funzionerà o forse no. Certo è che i mercati non sono prodotti di natura ma creazioni degli uomini, che si adeguano agli interessi prevalenti tra i ceti sociali e le diverse aree geografiche. Insomma, sono anch’essi figli della politica.
Massimo Mucchetti