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 2012  settembre 09 Domenica calendario

IN 28 MILIONI CON LA LICENZA MEDIA. IL PIANO PER FAR STUDIARE GLI ADULTI —

Oltre 28 milioni di adulti in Italia hanno al massimo la licenza media e più dell’80% della popolazione over 18 non raggiunge il livello 3, ovvero quello che viene definito «il livello necessario per garantire il pieno inserimento nella società della conoscenza»: nel nostro Paese, dunque, permane un preoccupante «deficit formativo». È per questo che il ministero dell’Istruzione, dati Istat e Invalsi alla mano, ha deciso di puntare sui Centri per l’istruzione degli adulti (CPIA), dotati di una propria autonomia amministrativa, organizzativa e didattica, che saranno autorizzati e finanziati attraverso un regolamento che, dopo più di tre anni, dovrebbe finalmente concludere il suo iter nel prossimo Consiglio dei ministri.
Non è che fino ad ora il problema di istruire gli adulti non si fosse posto: nell’anno scolastico 2010/2011 sono state 1.327 (di cui 529 Centri territoriali permanenti e 798 corsi serali) le sedi funzionanti per l’istruzione per gli adulti, con 18.215 corsi e 345.771 adulti frequentanti, di cui il 43,88% stranieri. Ma non basta, per un duplice motivo.
Il primo, sotto gli occhi di tutti, è che la nostra popolazione si sta lentamente trasformando. Nel 2050, secondo l’Istat, gli italiani saranno per il 34,4% over 65enni (oggi si è al 19%). E gli stranieri, che secondo la Caritas ammontano attualmente al 7,5% della popolazione, tra 38 anni saranno tra il 17% e il 20%. Questo significa che il gap formativo rischia di allargarsi, non di attenuarsi. Tanto più considerando che più della metà di quanti hanno un genitore con, al massimo, la licenza media, tende a riprodurre questa situazione e solo il 5% di questi raggiunge la laurea.
La seconda ragione è invece legata all’inadeguatezza degli attuali centri nel venire incontro alle esigenze di chi ha bisogno di migliorare il proprio grado di istruzione: troppo rigidi per ordinamenti e percorsi di studio, incapaci di intercettare i soggetti più deboli, privi di autonomia organizzativa e didattica, i centri hanno rivelato tutte le proprie criticità negli ultimi anni. Se si aggiunge il fatto che funzionano all’interno degli istituti scolastici, e quindi non hanno proprie sedi operative, e che non sono in grado di offrire istruzione a distanza, fondamentale per aiutare chi non può muoversi, si capisce come ormai vadano ripensati. Anche perché non mancano gli adulti che manifestano invece chiaramente l’intenzione di acquisire un titolo di studio: sono quasi 72 mila, attualmente, quelli che vorrebbero prendere una «licenza media», e oltre 68 mila quelli che intendono conseguire un diploma. Le storie di chi sceglie di migliorare il proprio grado di istruzione sono le più diverse: ci sono nonni che si sentono inadeguati nell’aiutare i nipotini a svolgere i compiti di scuola; uomini di mezza età che hanno bisogno di un titolo di studio per poter accedere a opportunità lavorative; donne che per sentirsi in grado di interagire con le famiglie di nuore e generi vogliono migliorarsi; giovani che, dopo aver lasciato i banchi di scuola abbagliati da facili guadagni, hanno capito l’importanza dello studio per potersi costruire un percorso migliore di vita.
I nuovi centri, in una fase iniziale 150 in tutta Italia per 6 milioni investiti nel 2012/2013, offriranno loro quello che con una parola magica viene chiamato «patto formativo individuale»: un’offerta costruita sulle esigenze della persona, non preordinata. Studiata dopo colloqui e valutazioni che vadano a considerare anche il «capitale sommerso» di un individuo: «Se un madrelingua francese si presenta al centro per un titolo di studio, non sarà necessario puntare sulla lingua straniera, ma bisognerà sicuramente costruire per lui lezioni intensive d’italiano», spiega con un esempio il sottosegretario all’Istruzione Elena Ugolini. L’obiettivo è quello di offrire un’istruzione ad hoc, attraverso centri che avranno un dirigente scolastico, 10 insegnanti dedicati, una segreteria: «Strutture leggere sul modello dei Greta francesi — conclude Ugolini —, ma estremamente utili per valorizzare le competenze delle persone, che vanno al di là dei titoli di studio formali».
Valentina Santarpia