Emiliano Costantini, Il Messaggero 9/9/2012, 9 settembre 2012
SI ALLUNGA L’ELENCO DELLE FABBRICHE IN CRISI
Alcoa, ma non solo. A un tiro di schioppo dalla fonderia (in estinzione) dell’alluminio, c’è la miniera (ad altissimo rischio chiusura) della Carbosulcis. Siamo evidentemente in Sardegna. Sul tacco del nostro stivale c’è un altro impianto in grosso affanno che si chiama Ilva. Alluminio, carbone, acciaio: la nostra macchina industriale rischia di andare in panne per mancanza di carburante. Il Paese potrebbe anche perdere l’ultimo treno per entrare sui binari dell’Alta Velocità: sassi, petardi, biglie, fuochi d’artificio, persino bombe carta stanno bloccando la Torino-Lione.
Un Paese in riserva, che ha difficoltà a camminare e che non vuole correre. Un po’ per sua colpa (di una minoranza, comunque) e un po’ per colpa di errori del passato e magari di una globalizzazione mal gestita. Ognuno è libero di pensarla come crede. Certo l’autunno non potrà che essere molto caldo. «Caldissimo», prevede la Cgil, che recentemente ha conteggiato la cancellazione di 450.000 posti in tre anni e pronostica la possibile perdita di altri 500.000 nei prossimi mesi.
E’ ancora un dato di fatto che in meno di tre anni hanno dovuto chiudere i battenti 30.000 imprese e che al ministero dello Sviluppo sono aperti 131 tavoli (erano 119 lo scorso gennaio) per altrettante vertenze. Sono interessati 163.000 lavoratori. Ma si tratta di una cifra approssimativa per difetto in quanto le aziende in crescenti difficoltà sono oltre trecento e i lavoratori coinvolti più di 450.000 con grandi possibilità di arrivare al mezzo milione. Così la cassa integrazione che oggi tutela circa mezzo milione di persone potrebbe trasformarsi in una perdita secca di altrettanti posti di lavoro. Ballano 10.000 posti alla Fincantieri e alla Thyssenkrupp, 7.500 alla St Microel, 7.000 alla Electrolux, 6.000 alla Eds, 4.500 alla Indesit, 4.400 alla Sirti, 4.000 alla Micron.
Una crisi che è nazionale (se non ce ne fossimo accorti) perché è generalizzata seppure con dimensioni e aspetti diversi. Si fa sentire da Nord (Vinyls di Porto Marghera) alla Sicilia (Fiat di Termini Imerese) alla Sardegna (Alcoa e Carbosulcis) attraversando l’Italia centro meridionale (Ilva di Taranto e Fincantieri di Castellamare di Stabia). Al momento le situazioni più critiche hanno il nome di Alcoa, Carbosulcis e Ilva. Almeno sotto il profilo mediatico. Perché la realtà dice che ci sono migliaia di piccole aziende che consumano e si consumano nel cono d’ombra della crisi.
Elettrodomestici. Vertenza ancora aperta alla Merloni di Nocera Umbra con 600 operai in cassa integrazione. Alla Elettrolux 200 dipendenti espulsi e altri 500 in cigs. Terza chiusura in pochi mesi alla Indesit e 360 dipendenti in scadenza di cig.
Edilizia e mobili. Italcementi ha avviato le procedure di mobilità per 180 lavoratori e confermato la chiusura degli stabilimenti di Porto Empedocle e Vibo Marina. La Natuzzi ha comunicato ai sindacati la volontà di richiedere la cig a zero ore per 1.300 dipendenti su un totale di 2.700.
Telecomunicazioni. Alcatel ha tagliato 245 lavoratori, la Nokia ha aperto le procedure di licenziamento per 445 sui 1.104 che operano in Italia. Sirti e sindacati sono alla ricerca di un accordo per la gestione di 1.000 esuberi. La Ericsson ha annunciato licenziamenti collettivi.
Auto e trasporti. Alla Fiat cassa integrazione stop and go mentre per lo stabilimento di Termini Imerese si sta cercando ancora un compratore e, se possibile, una nuova destinazione industriale. Alla Wind Jet in cinquecento potrebbero essere appiedati dopo il flop della compagnia.
Farmaceutica. La Sigma Tau ha presentato un piano di ridimensionamento con la cig per 400 lavoratori del sito di Pomezia. La Corden Pharma di Sermoneta ha confermato i 179 esuberi che dovranno lasciare entro l’agosto del prossimo anno.
Ferroviario. Finmeccanica vuole disdettare diverse società in Italia. All’Ansaldo-Breda procede il piano di risanamento: da quando è scattato sono stati tagliati 164 posti.