Gianni Mura, la Repubblica 9/9/2012, 9 settembre 2012
Leggo su un settimanale sportivo (Sw, che sta per Sport week) che Bradley, centrocampista della Roma, parla benissimo l’italiano
Leggo su un settimanale sportivo (Sw, che sta per Sport week) che Bradley, centrocampista della Roma, parla benissimo l’italiano. Al Chievo, spiega, il club metteva a disposizione un insegnante per lezioni collettive due volte a settimana. Lui se n’è pagato un altro per due lezioni individuali a settimana ed ecco spiegato l’arcano. La mia modesta proposta è che i giornali si assumano, parzialmente, l’onere di corsi accelerati d’inglese per lettori che non lo conoscono (non è un reato, ancora) o insistono, convinti di vivere in Italia, con l’italiano. Quelli che sentono qualcosa che vibra al loro interno, se leggono red carpet quando si può scrivere tappeto rosso. La crisi ci ha portato in casa lo spread, il bund (“Mi chiamo Bund. James Bund”) e la spending review, che una volta sistemata sarà salutata con una standing ovation. Ma prima della crisi era entrato di tutto. E poi ci preoccupiamo di quanti pochi italiani giochino nelle squadre di serie A. Abbiamo aperto le porte a talking, stalking, briefing, jogging, petting, outing, pressing, stretching, dumping, carpooling, shopping, mobbing e qui mi fermo, con un pensiero a Kipling, mi fermo perché se mi allargo a happy hour, new town, brain trust e call center non se ne esce più, ammesso che ci siamo entrati, incautamente. Sui giornali ci sono però spazi ancora incontaminati e sempre interessanti: le lettere dei lettori. E’ in quello spazio che si trova un po’ di vita vera, raccontata da chi l’ha vissuta. Cose che si presume non facciano notizia, ma danno il polso di dove si vive, e di come si vive. Sulla Stampa di ieri trovo di che sguazzare come un fischione. Quel che scrive la lettrice M.S. cerco di riassumerlo. Va allo stadio per Torino-Lecce e un’addetta del personale Man Power (a proposito di inglese, già) le toglie dalla borsa un tubetto in plastica da 50 ml, che contiene una pomata, abbastanza cara, usata per curare un’allergia alle mani. Alla signora vien detto che si tratta di nuova normativa sulla sicurezza, ma sul tabellone posto all’esterno, insiste la signora, non si fa cenno a prodotti farmaceutici o a flaconi da 50 ml. Intanto la signora vede passare tifosi con bottiglie da un litro e mezzo di minerale, del tutto liberamente. Chiede di parlare con un responsabile, che “con aria strafottente e pieno di sé, senza guardare di cosa si tratta”, conferma. All’uscita, M. S., che dev’essere un tipo tenace, va a cercare la sua pomata nei bidoni dove si buttano gli oggetti che non superano il controllo di sicurezza. E ci trova “pomate mignon, biro, burrocacao, boccette di Autan, collirio e altre creme”. Conclusione: “Trovo giusto che la società sappia come vengono effettuati i controlli”. Signora, se la società è intesa come club calcistico, nella fattispecie il Torino, ma potrebbe essere qualunque squadra di A o B , ho il fondato sospetto che ne sbatta serenamente. Se è la società, in senso più vasto, credo che molti abbiano già capito che in nome della sicurezza (che gestita così è una pagliacciata che non fa neanche ridere) si continuano a erodere, bucherellare, limitare piccole, sane e radicate (ma sradicabili, a quanto pare) libertà individuali e collettive. Quello che è capitato a lei è solo un esempio. La tessera del tifoso a qualcosa sarà servita ma continuo a ritenerla incostituzionale e da lì, a pioggia, è nato il resto. Nel ’94 al mondiale Usa, ho avuto l’anticipazione. A proposito di pioggia: Boston, stadio scoperto, piove, vietati gli ombrelli. Solo impermeabili di plastica trasparente, presto esauriti. E vietato portarsi i panini da casa, si possono acquistare solo all’interno dello stadio perché quei panini hanno lunghezza, larghezza, peso e imbottitura in regola con le misure di sicurezza. I cani antidroga e antiesplosivi si mostrano un po’ turbati dalla mia vecchia Olivetti 32, ma tutto sommato m’è andata bene. Ora, nessuno discute una realtà: stiamo vivendo anni difficili, il calcio non può essere un’isola felice, e via col tango. Ma un giorno, spero ma non ci scommetto, si potrà pur discutere su questa sempre più ossessiva limitazione di libertà, su questo trattare gli incensurati (penso che M.S. lo sia) come potenziali criminali o come irresponsabili, su questo avviarsi a diventare, se già non lo siamo, una società divisa in controllori e controllati. Pochi, credo, saprebbero raccontare l’umiliazione, il disagio e anche, alla fine, la rabbia di chi vorrebbe solo andarsi a vedere pacificamente una partita ed è trattato come fosse inviato dal Bin Laden che fu. Ci sono cose più importanti, certo, ma questa non è delle più futili.