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 2012  settembre 09 Domenica calendario

Arriva a Venezia, dopo Londra e dopo 12 anni di restauro, la “Fuga in Egitto” accompagnata da opere di Giorgione e Bellini

Arriva a Venezia, dopo Londra e dopo 12 anni di restauro, la “Fuga in Egitto” accompagnata da opere di Giorgione e Bellini. I dubbi sull’attribuzione VENEZIA Lapalma va oggi a Tiziano, ma in principio era Giovanni Bellini. Perché il paesaggio dipinto da Giorgione, Lorenzo Lotto, Sebastiano del Piombo e clamorosamente da Tiziano scaturisce dalla sacralità e dalla rappresentazione del lavoro campestre quale rito solenne, che Bellini aveva saputo raffigurare, mettendo insieme realtà visibile e cosmologia. In questo modo – scriveva Federico Zeri – il pittore consegnava alla generazione più giovane un nuovo sentimento della natura, emanazione di un assoluto che stava al fondo di tutte le cose. Apre dunque sugli orizzonti liquidi e azzurri dell’Allegoria sacra di Giovanni Bellini (1490) la mostra Tiziano: la Fuga in Egitto e la pittura di paesaggio, che punta sul passaggio a Venezia di un grande dipinto, da secoli conservato all’Ermitage di San Pietroburgo (Venezia, Gallerie dell’Accademia, fino al 2 dicembre; catalogo Marsilio). Ho scelto il titolo che si legge in catalogo, Tiziano e la pittura di paesaggio, scartando quella spettacolarizzazione strillata dagli uffici stampa (“Il Tiziano mai visto”, “12 anni di restauro”) che non tiene conto dell’intelligenza del pubblico e non aiuta a capire. Perché, per capire il senso e lo sforzo che stanno dietro un’esposizione così contenuta (15 dipinti, 3 incisioni), il pubblico deve sapere – parlando di Bellini, Giorgione, Tiziano – quanto sia difficile oggi reclutare le opere e come si debba idealmente allargare i confini di questa mostra veneziana leggendola in contiguità con la mostra di Londra che si è appena conclusa, anch’essa centrata sulla Fuga in Egittoprestata dall’Ermitage. Anche se qui la prospettiva è diversa e più marcato è il rapporto con la verità lenticolare fiamminga che, a fronte del Tramonto e della Tempestadi Giorgione, schiera due trittici di Hieronymus Bosch, da sempre documentati a Venezia. Il tema: negli anni che vanno dal 1490 al 1515 prende forma a Venezia, e solo a Venezia, quel paesaggio a forte colorazione estetica (non più solamente spazio ambientale, ruvido, antropizzato) che, calando «dalle nubi alte, lontane, cariche di sogni» di Giovanni Bellini, tendeva a farsi totalità e non più sfondo. Tutto questo è già nel Tramonto enigmatico di Giorgione, dove il vero soggetto è per noi indecifrabile, ma leggibile invece è l’abbraccio misterioso, esoterico fra le figure e il paese. Struggente e atmosferico il Tramonto, che viene da Londra, dialoga sulla stessa parete con il cromatismo ardente della Tempesta, a riprova che è Giorgione il passaggio essenziale. «In un’esposizione che avevamo immaginato più ricca e meno sforbiciata nel budget, abbiamo comunque dato risalto a due elementi importanti: l’intensità degli scambi con i pittori del nord (tedeschi e fiamminghi) e l’autonomia di Venezia nei confronti di Roma, dove la “maniera moderna” di Raffaello e di Michelangelo punta sulla centralità dell’uomo, mentre Venezia cerca l’accordo fra uomo e natura». Giuseppe Pavanello, che con Irina Artemieva ha realizzato la mostra, aggiunge che una svolta così radicale tocca il suo apice con Tiziano negli affreschi di Padova (1511) e prima ancora in questa Fuga in Egitto, che è dunque episodio cruciale. Siamo al nodo scottante. La posta è di quelle che coinvolgono il pubblico, non i conoscitori soltanto. La mostra esibisce una carta vincente, che per alcuni è diventata un bersaglio: la Fuga in Egitto che Tiziano dipinse per Andrea Loredan al tempo del passaggio precoce dalla bottega di Bellini a quella di Giorgione, intorno al 1507. Un grande telero veneziano, un quadro “da portego” per la sala passante che, al piano nobile del palazzo sul Canal Grande, collegava la facciata d’acqua alla facciata di terra. Un quadro imponente, ambizioso, dalla forte valenza decorativa (il tema è religioso, ma la destinazione profana): tre pezzi di tela giuntati su una base di oltre tre metri, che Vasari già cita nel Cinquecento. A Venezia, come già a Londra, è il cloudella mostra. A Venezia, come a Londra, qualcuno contesta il nome di Tiziano, per esempio la London Review of Books, nella voce tonante di Charles Hope, ex direttore del Warburg Institute. Contro le prove documentarie pubblicate dal Burlington Magazine, sotto accusa sarebbe la qualità del dipinto, compromessa in realtà da una conservazione imperfetta. Perché la tela ha molto sofferto e, nonostante i restauri incredibilmente protratti (12 anni! quale allora il tempo di esecuzione di Tiziano?), presenta difficoltà di lettura. Si coglie infatti una discrasia fra l’audacia dell’invenzione (l’asimmetria degli spazi, quella Sacra famiglia raffigurata sul margine per spalancare su boschi e vallate, la scala grandiosa del paesaggio) e le smagliature dei piani che hanno perduto profondità, così che il racconto appare slegato nell’intarsio di alcuni frammenti, il gregge, i pastori. Ma quel mondo, visto con gli occhi dell’innocenza da un artista non ancora ventenne che già guardava “i tedeschi”, all’improvviso si apre su un paradiso terrestre di commovente candore – un cervo, un corvo, una mucca – e su un sipario di alberi e cielo che tendono a «quel sogno fidiaco di classica purezza formale, che è di Tiziano giovane» (Briganti) e che a Venezia attrae fatalmente una costellazione di pittori diversamente sperimentali sulla natura, da Lorenzo Lotto a Sebastiano del Piombo.