Alessandra Farkas, Corriere della Sera 8/9/2012, 8 settembre 2012
NEW YORK —
Lo scontro tra i due mondi, quello «classico» della letteratura con la L maiuscola, — rigorosa, privata e misteriosa — e quello della Rete — più disinvolto, veloce e spregiudicato — era solo questione di tempo. Quando poi i protagonisti sono due giganti come Philip Roth e Wikipedia, il mondo è costretto a prendere nota.
Lo ha fatto ieri, quando una lettera aperta a Wikipedia postata dal 79enne autore di Pastorale Americana sul sito del «New Yorker», per protestare contro alcune gravi inesattezze pubblicate dall’enciclopedia gratuita fondata da Jimmy Wales nella pagina che lo riguarda, ha ottenuto un effetto immediato: spingere Wikipedia a cambiare la pagina per rettificare gli errori in tempo record (2 ore).
Nel mirino di Roth è finito un brano dove Wikipedia indica erroneamente lo scrittore mulatto Anatole Broyard come ispiratore di La macchia umana (2000) il capolavoro di Roth che racconta la storia del docente nero Coleman Silk, che per fare carriera nel mondo un tempo segregato delle università Usa si spaccia per ebreo — nascondendo la verità a colleghi e famigliari — finché, a 70 anni, non viene accusato di razzismo dal consiglio dell’università in cui lavora.
«Cara Wikipedia, sono Philip Roth e di recente ho avuto modo di leggere per la prima volta la voce di Wikipedia riguardo al mio romanzo La macchia umana», inizia la lettera in cui l’autore si lamenta di aver chiesto più volte, attraverso un intermediario, di correggere l’inesattezza. «Mi sono sentito rispondere che "io, Roth, non ero una fonte credibile". Il motivo? "Capiamo l’argomentazione che l’autore è la massima autorità sul suo lavoro, ma le nostre regole — aveva spiegato Wikipedia — richiedono il conforto di fonti secondarie"».
Nella lettera, che si trasforma in un lungo e avvincente monologo sul processo creativo dell’autore, Roth rivela l’identità del suo ispiratore: Melvin Tumin, docente di sociologia a Princeton, liberal doc e uno dei massimi esperti mondiali in tema di rapporti tra razze, finito vittima di una caccia alle streghe analoga a quella che rovina la stellare carriera di Silk, reo di aver usato il termine spook (fantasma nell’idioma moderno, ma anche sporco negro nell’America razzista del Sud) per descrivere due studenti neri sempre assenti dalle lezioni.
Anche Anatole Broyard, un mulatto dai tratti somatici decisamente caucasici, ha nascosto per tutta la vita le proprie origini. «Ignoravo la sua storia», ribatte Roth. «Ci conoscevamo appena. Non abbiamo mai cenato insieme, non l’ho mai incontrato a un party, non l’ho mai invitato a casa mia né lui me a casa sua». Con Tumin, al contrario, erano amici. «Ci siamo conosciuti all’inizio degli anni Sessanta a Princeton dove io ero un writer-in-residence», prosegue Roth, «ho incontrato anche sua moglie Sylvia e i suoi due figli».
Quando nel 1947 Tumin, un ebreo di origine mitteleuropea, iniziò a insegnare a Princeton, l’università Ivy League era un santuario wasp. «Negli anni molti si sono chiesti se lui non fosse un afro-americano che si spacciava per bianco», prosegue l’autore, «a causa dei suoi tratti somatici negroidi: labbra, capelli, colore della pelle». Ma — scrive Roth — la scrittura di un romanzo «è per il romanziere un gioco di immaginazione. Come quasi tutti gli scrittori che conosco, io sapevo di avere quello che Henry James chiamò una volta "il germe", nel mio caso i guai di Tumin a Princeton».
Roth finisce per scoperchiare — forse non senza rammarico — un altro dei segreti che gli scrittori di solito preferiscono tenere per sé. «Tutti gli altri personaggi della Macchia umana sono frutto della mia fantasia», rivela. A partire da Faunia Farley, la bella ma rozza donna delle pulizie con cui Silk intreccia un rapporto amoroso che si rivelerà tragicamente fatale, scatenando la gelosia dell’ex marito Les Farley, veterano del Vietnam violento e tormentato.