Marta Serafini, Corriere della Sera 8/9/2012, 8 settembre 2012
Era il 29 settembre. Gli operai che stavano costruendo il Rockefeller Center sedevano in bilico sopra le travi di un grattacielo
Era il 29 settembre. Gli operai che stavano costruendo il Rockefeller Center sedevano in bilico sopra le travi di un grattacielo. Sulle gambe avevano delle semplici scatole di cartone. Dentro un panino. Era la loro pausa pranzo a chissà quanti metri d’altezza. Era il 1932 e c’era la crisi. Sono passati ottant’anni, in mezzo ci sono stati la guerra, il boom economico, internet e Wall Street. Siamo andati a mangiare nelle mense in fabbrica, al ristorante sotto l’ufficio, al take away, al fast food, al sushi bar e dal kebabbaro. Duemilaedodici, la crisi c’è ancora. Non siamo più operai. Siamo precari. E siamo tornati a farcela, la gavetta. Quella dei nostri nonni era una valigetta in metallo con dentro un panino e una mela, ereditata dall’esercito. Oggi è diventata una borsina termica colorata, si è trasformata in una scatola di cartone con il pannello solare per inquinare meno, si è declinata nella versione giapponese bento e in quella americana del lunch box a forma di valigetta con il supereroe stampato sopra. Ha la forma di un mattoncino di Lego, oppure è realizzata da designer famosi. Ma non solo. Si è dotata di accessori come il ghiaccio secco per tenere le vivande al fresco, le posate di plastica monouso e il sacchettino colorato per contenere gli alimenti. Però il concetto è sempre quello. Mangiare in pausa pranzo ciò che si è portato da casa. Gli avanzi della sera prima. O un piatto cucinato apposta. Per nutrirsi meglio. Per risparmiare. Perché di foraggiare i bar pagando un panino a peso d’oro non ci va più, che in centro a Milano sono capaci di chiederti 9 euro per un toast, acqua e caffè (si pensi che dal 2001 una bottiglia d’acqua è aumentata del 217%, un tramezzino del 186%, una pizzetta rossa del 199%). Così ci si attrezza per salvarsi dal fast food. La sala riunione si trasforma in una mensa. Spesso si creano i presupposti per simpatici baratti gastronomici. Tu mi fai assaggiare l’insalata di farro e io ti do un po’ di pasta. In tanti hanno chiesto al capoufficio di poter mettere il forno microonde vicino alla scrivania per riscaldare il minestrone. Se il tempo è bello si cerca una panchina e si mangia all’aperto. Lo fanno in tanti, ormai. Secondo una ricerca del sito Internet «Occhio al trend», su un campione di 600 lavoratori tra i 20 e i 55 anni, il 53% si porta il pranzo da casa. La maggior parte lo fa per risparmiare (46%), ma c’è chi sceglie questa alternativa per consumare pasti sani ed equilibrati (29%) o per avere una maggiore varietà e scelta (19%). E i nutrizionisti non possono che essere d’accordo. «È un’abitudine molto sana. L’unica accortezza è non trascurare la conservazione degli alimenti e non portarsi piatti troppo complicati. Per il condimento poi si possono usare i monodose, oppure basta tenersi una bottiglietta d’olio in ufficio», spiega la nutrizionista Carla Favaro. Va da sé che anche chef e food blogger hanno fiutato la tendenza e si sono dati da fare per tirare fuori ricette e soluzioni facili da trasportare. Benedetta Parodi ha dedicato al tema una puntata della sua trasmissione su La7, con sandwich e frittate, mentre il giovane Mattia Poggi ha dettato le regole della gavetta perfetta: «Portare il cibo da casa è salutare e conveniente. Sconsiglio tuttavia la pratica purtroppo diffusa del desk-eating. Meglio non consumare il pasto alla scrivania. Telefono e mail non devono interrompere la pausa pranzo perché mangiare velocemente compromette la digestione». Importante è poi l’aspetto ecologico. La Cascina Cuccagna di Milano e Bottega Campagna amica propongono le agri-schiscette, realizzate con i prodotti del campo più vicino, da ordinare online su www.agricolturamica.it. Decisamente green è anche la Solar Schiscetta (solarschiscetta.tumblr.com), un contenitore riutilizzabile che scalda il pranzo grazie all’energia solare. Poi c’è la versione dietetica che viene consegnata direttamente in ufficio da Diet to Go (www.diet-to-go.com). Ma soprattutto sono i food blogger ad analizzare a fondo il fenomeno Uno su tutti è Alessandro Vannicelli, 34 anni, che di giorno lavora in un’agenzia di marketing e comunicazione digitale e di notte si diverte a pubblicare le foto delle sue pause pranzo sul suo sito schisciando.tumblr.com. «L’idea è postare una schiscetta al giorno, 365 foto del mio pranzo alternativo», racconta. Per Alessandro, però, la schiscetta non è solo un passatempo: «Ho ereditato da mio padre l’abitudine di portarmela da casa. Quando studiavo all’Accademia era lui che mi preparava il pranzo al sacco. Poi sono andato a vivere da solo è ho continuato», racconta. La gavetta insomma non è solo cibo. Ma una tradizione che si tramanda di padre in figlio. Alla faccia della crisi. @martaserafini