Tonia Mastrobuoni, La Stampa 8/9(2012, 8 settembre 2012
Quando un collega di un quotidiano tedesco ha chiamato giovedì il presidente della Bce con uno strepitoso lapsus «Mr Weidmann», anche Mario Draghi deve aver capito che le cose non si mettevano bene
Quando un collega di un quotidiano tedesco ha chiamato giovedì il presidente della Bce con uno strepitoso lapsus «Mr Weidmann», anche Mario Draghi deve aver capito che le cose non si mettevano bene. Anche perché la conferenza stampa era stata un crescendo di battute aggressive da parte dei giornalisti tedeschi. Talmente indignati da dimenticarsi la consueta manciata di domande sull’inflazione. Ma il culmine è arrivato quando una giornalista ha chiesto a Draghi se era soddisfatto della «lira-izzazione» dell’Europa, cioè della trasformazione dell’euro in una molle valuta mediterranea. Deve essere stato lì che il presidente della Bce ha intuito cosa avrebbe trovato il giorno dopo sui giornali di destra, di sinistra e di centro. E magari gli sarà anche ritornato in mente il vecchio adagio di Jacques Delors che «non tutti i tedeschi credono in Dio, ma tutti credono nella Bundesbank». In Germania quasi nessuno ha riconosciuto ieri a Draghi di aver sventato il collasso della moneta unica, È sufficiente citare la Welt , che titolava «I mercati festeggiano la morte della Bundesbank», per capire che secondo la maggior parte dei commentatori la ripresa degli acquisti dei bond da parte della Bce equivale a una colossale resa alle ragioni della politica. Secondo la Faz l’Eurotower ha compromesso la propria economia perché le condizionalità implicano che agirà in base ai comportamenti dei governi. Inoltre, l’isolamento della Bundesbank ha suscitato un’ondata di malumori. Ma la novità è che rispetto al passato, quando gli attacchi erano sporadici e rivolti all’Eurotower, dunque all’istituzione, si nota una inquietante personalizzazione. Da ieri la Germania sembra essersi improvvisamente ricordata che Draghi è italiano e che viene dal Paese della ballerina lira, della montagna di debito e di Machiavelli. Da qui la tesi della “lira-izzazione” dell’eurozona - anche sottoscritta nero su bianco dall’analista Thorsten Polleit: «Draghi ha trasformato l’euro in una sorta di lira italiana». Ma si parla anche di «draghizzazione» della Bce. Il ragionamento è che le montagne di liquidità immesse nel mercato e la condivisione dei rischi che viene ovviamente accentuata dal programma di acquisti deciso giovedì, minano la stabilità della moneta. Uno dei più influenti analisti tedeschi, il capoeconomista di Commerzbank, Jörg Krämer, la mette cosí: «Draghi ha trasferito i rischi dai Paesi della periferia al centro». Dimentichi di un’economia che per l’Ocse sta scivolando verso una seconda metà dell’anno in recessione proprio a causa della crisi dell’Eurozona - il 40% dell’export è verso i partner della moneta unica - e del fatto, come ha ricordato qualche giorno fa il membro tedesco del board Bce Asmussen, che non c’è alcun paese che abbia approfittato dell’euro quanto la Germania, i commentatori hanno visto solo l’isolamento di una istituzione che considerano sacra come la Bundesbank. Ed è talmente «caricaturale» come ha giustamente notato Draghi, l’immagine che restituiscono della Bce, che c’è da restare esterrefatti. La mostruosa mistificazione ha contagiato ieri anche il quotidiano maggiore, la Sueddeutsche , che parla di «manipolazione dei tassi di interesse» a proposito dello scudo salva-spread. Come se non fosse già in atto, una colossale distorsione dei tassi, per i timori di una rottura dell’Eurozona. Ma il quotidiano non la cita, né menziona il fatto che questa ingiustificata divisione in due dell’Eurozona consente alle aziende tedesche di indebitarsi a tassi di tre o quattro punti inferiori rispetto alle italiane. Non c’è da meravigliarsi, in un clima del genere, che secondo un sondaggio Ard soltanto il 17% dei tedeschi condivida l’azione di Draghi.