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 2012  settembre 07 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL DISCORSO DI OBAMA


REPUBBLICA.IT
CHARLOTTE - L’America si trova di fronte alla scelta tra "due visioni del futuro" totalmente differenti. Barack Hussein Obama chiude tra l’entusiasmo dei delegati la Convention democratica di Charlotte. A sorpresa sul palco lo presenta la First Lady Michelle. Un abbraccio, un bacio, poi la frase di rito: "Accetto la nomination presidenziale". Sono passati quattro anni dall’Obama del "change" e "hope", "i tempi sono cambiati e anch’io sono cambiato. Non sono più solo un candidato, sono il presidente". Non indulge in troppo facili promesse. "Non faccio finta che la strada che vi indico sia veloce o facile", scandisce dal palco tutto azzurro della Time Warner Cable Arena, ma su una cosa non ha dubbi: "I nostri problemi possono essere risolti, le nostre sfide vinte". Risolti e vinti se gli americani lo confermeranno presidente. Perché "nei prossimi anni a Washington saranno prese grandi decisioni, sul lavoro e sull’economia, sulle tasse e sul deficit, sull’energia e sull’istruzione, sulla guerra e la pace". Decisioni che avranno un impatto enorme sulla "nostra vita e su quella dei nostri figli per i prossimi decenni".
"Four more years, four more years", ritmano i ventimila dell’Arena, ancora quattro anni alla Casa Bianca. Dai tempi di Roosevelt solo un presidente democratico è riuscito a farsi rieleggere (Bill Clinton) e Obama non intende essere da meno. Non sarà facile. Lo dicono i sondaggi, lo confermano gli uomini del suo staff, mancano due mesi alla fatidica data del 6 novembre e sarà un testa a testa fino in fondo. "Non sarà solo una scelta "tra due candidati o due partiti", ricorda Obama perché di fronte ci sono due visioni e l’America dovrà scegliere tra due strade che sono "nettamente diverse". Lui non indica quella facile. "Non l’ho mai fatto. Non mi avete eletto per dirvi quello che volete sentirvi dire, mi avete eletto per dirvi la verità. E la verità è che ci occorre più di qualche anno per risolvere sfide che si sono accumulate per decenni".
Due visioni diverse e una scelta che sarà la "più chiara di sempre" per le generazioni che vivono la crisi di questi anni. Per questo "quando tutto sarà detto e fatto", nel momento in cui "prendete la scheda e votate", ricordatevi che dalla vostra scelta dipende il futuro vostro e dei vostri figli. Con la disoccupazione all’8,3 per cento, per risollevarsi dal disastro ereditato nel 2008 il presidente si rifà al suo più grande predecessore democratico: "Sarà necessario uno sforzo comune, una responsabilità condivisa, esperimenti coraggiosi e insistenti" come quelli che Franklin Delano Roosevelt ha compiuto durante la sola crisi "peggiore" di questa. Tocca le corde del patriottismo, parla con orgoglio della ripresa dell’auto ’made in Usa’, ripete più volte la parola cittadinanza.
Parole che hanno come destinatari soprattutto quegli elettori indipendenti tentati dal voto a Romney. "Chi tra noi ha raccolto la sua eredità" deve ricordare che non tutti i problemi possono essere risolti con "un altro programma di governo" o con le decisioni prese a Washington. "La strada che vi indichiamo può essere dura, ma conduce in un posto migliore. Io vi chiedo di scegliere questo futuro". I repubblicani chiedono il vostro voto, ma "non hanno un piano, hanno le stesse ricette di trenta anni fa".
Gli obiettivi che pone per superare la crisi "del nostro paese" riguardano ogni campo: industria manufatturiera, energia, istruzione, sicurezza nazionale, deficit. Su questi punti le promesse non mancano. Entro il 2016 verranno creati "un milione di nuovi posti di lavoro" nell’industria manufatturiera, le esportazioni saranno raddoppiate nei prossimi due anni, entro il 2020 le importazioni di petrolio saranno "tagliate della metà" e ci saranno 600mila nuovi lavori nell’estrazione di gas naturale. Un programma ambizioso (e difficile) in campo scolastico. "Le rette dei college saranno tagliate della metà nei prossimi dieci anni", assicura il presidente, e per quella data promette anche che verranno assunti 100mila insegnanti di scienze e matematica. Sul deficit la missione quasi impossibile: "Lo ridurremo di 4mila miliardi nel prossimo decennio".
Il ’Commander in Chief" che ha fatto tornare i soldati dall’Iraq e ha eliminato Bin Laden ("noi saremo sempre in debito con una generazione che ha reso l’America più sicura") promette che i miliardi risparmiati sulle guerre verranno investiti nell’economia ("dove tutti devono giocare con le stesse regole, dalla gente comune a Wall Street"). E ripete che il suo programma è "reale e realizzabile", che porterà nuovi posti di lavoro e "più opportunità", che ricostruirà l’economia "su fondamenta più solide". Sono queste le cose che il primo presidente afro-americano assicura che farà nei prossimi quattro anni: "Ed è per questo che sono in lizza per un secondo mandato come presidente degli Stati Uniti".

I SONDAGGI - REPUBBLICA.IT
aggiornato: 6 settembre 2012
I SONDAGGI nelle elezioni per la Casa Bianca vanno sempre guardati con sospetto, perché decisivi sono gli Stati chiave. Certo, i ’poll’ nazionali danno un’idea, e parlano chiaro: Romney ha recuperato tutto lo svantaggio che aveva negli ultimi mesi e i due candidati sono appaiati come mai prima. Facendo la media delle varie rilevazioni (nella media calcolata da Huffington Post) entrambi sono al 46,4%. Ma a livello di Stati chiave la situazione è un po’ diversa.
Il sistema elettorale Usa. Come è noto, essendo gli Stati Uniti una repubblica federale, il sistema elettorale è su base regionale. Questo significa che i voti dei cittadini non finiscono virtualmente in una stessa urna, ma in 50 urne diverse, una per ogni Stato, sulla base del quale si assegnano dei delegati. Gli Stati più popolosi eleggono più "grandi elettori", come vengono chiamati. Per essere eletti, un candidato deve ottenere almeno 270 grandi elettori su 538.
Essendo quindi molti degli Stati "nettamente democratici" o "nettamente repubblicani", tanto che quei delegati si considerano già assegnati a un candidato a meno di sorprese o rivoluzioni, il numero di Stati in bilico che possono decidere l’elezione è molto limitato. E spesso sono sempre gli stessi.
LA SITUAZIONE
In questa fase, nella sfida tra Barack
Obama e Mitt Romney, sono solo sette o otto gli Stati che esperti e sondaggisti considerano in bilico (o tossup, come si dice in inglese).
Si tratta di Florida (29 grandi elettori), Ohio (18), North Carolina (15), Virginia (13), Wisconsin (10), Colorado (9), Iowa (6). A questi si sono aggiunti il Michigan (16) e il Nevada (6), che prima era considerato "abbastanza democratico" e che ora invece secondo i media americani vanno classificati in bilico perché i sondaggi vedono ridotto il vantaggio di Obama a soli 3 punti percentuali.
IL FRONTE DEMOCRATICO - 225 grandi elettori
Gli Stati considerati "fortemente democratici" sono New York, California, Oregon, Washington, New Mexico, Illinois, Maine, Vermont, Massachussetts, Rhode Island, Connecticut, New Jersey, Delaware, Maryland, District of Columbia. A cui si aggiungono Minnesota, Pennsylvania, New Hampshire che, dai sondaggi, risultano "abbastanza democratici" e non dovrebbero riservare sorprese. Questi Stati valgono al momento 225 grandi elettori.
IL FRONTE REPUBBLICANO - 191 grandi elettori
Il Great Old Party può contare invece su una solida maggioranza in Texas, Alaska, Montana, Idaho, Utah, Arizona, Wyoming, North Dakota, South Dakota, Nebraska, Kansas, Oklahoma, Arkansas, Louisiana, Alabama, Georgia, South Carolina, West Virginia, Kentucky, Tennessee, Indiana. Il Missouri è l’unico Stato che può essere definito "abbastanza repubblicano" da non preoccupare, anche se la polemica sull’aborto ha ridotto il vantaggio del candidato repubblicano al Senato e potrebbe aver danneggiato Romney. Questi Stati, numerosi ma in gran parte poco popolosi, valgono 191 grandi elettori.
GLI STATI TOSSUP
Se gli Stati ’stabili’ fossero tutti confermati, a Obama basterebbe anche vincere nella sola Florida per garantirsi la rielezione. Questo perché la Florida vale 29 grandi elettori, che porterebbero Obama esattamente a quota 270, il numero necessario di grandi elettori per tornare alla Casa Bianca.
Proprio dalla Florida arrivano però brutte notizia per il Presidente: i sondaggi indicano un assottigliamento del vantaggio, che si è - nella media delle ultime rilevazioni considerate dall’HuffPo - praticamente annullato (47,3% contro 46,6%). "Too close too call" direbbero gli americani. La speranza per Obama risiede in un altro sondaggio, quello del Pew Research Center, che testimonia come gli americani non apprezzino il piano repubblicano sull’assistenza sanitaria agli anziani. Dati importanti in uno Stato demograficamente anziano.
Come andrebbe negli altri stati in bilico? L’Ohio verso Obama per 2 punti percentuali, il Colorado ancora a Obama (due punti di vantaggio), North Carolina a Romney (48% a 46%), Virginia verso Obama (+1,5%), in Wisconsin recupera Romney ma Obama è ancora avanti, in Iowa i due candidati sono troppo vicini. Per quanto riguarda il Michigan e in Nevada, Obama avrebbe tre punti di vantaggio.
Certo, con vantaggi così stretti a due mesi dalle elezioni, i sondaggi valgono fino a un certo punto. Ovunque la tendenza è quella di un avvicinamento di Romney. Ma facendo i conti oggi - e ignorando Florida e Iowa - Obama arriverebbe comunque a 297 grandi elettori (contro 206 di Romney), oltre la soglia dei 270 necessari per l’elezione. Barack Obama ancora avanti quindi, ma da qui al 6 novembre, giorno del voto, tutto può cambiare.
(05 settembre 2012)

CORRIERE.IT
CHARLOTTE (North Carolina) – Dalla retorica della speranza e dalla promessa del cambiamento, al riconoscimento che uscire dalla crisi, ricostruire l’economia su basi più solide, è un lavoro immane che richiederà molti anni e molti sacrifici. Accettando ieri sera dal suo partito la nomination per la riconferma alla Casa Bianca, Barack Obama ha rivendicato di aver salvato l’economia dal disastro e di aver rispettato molti degli impegni presi, dalla lotta al terrorismo alla fine della guerra in Iraq e all’inizio del disimpegno dall’Afghanistan.
L’AMMISSIONE - Ma sull’economia il presidente ha dovuto ammettere di non essere riuscito a tirare il Paese fuori dalla crisi nel suo primo mandato: «Non ve l’avevo promesso» ha scandito, anche se nella campagna del 2008 di promesse ne aveva fatte tante, «e non mi avete eletto per dirvi quello che voi volete ascoltare ma per dirvi la verità». Una verità dura quella di Obama che ieri sera spesso ha sostituito all’antico «I Will» (farò) un più realistico «I want» (voglio fare). Proponendo una lunga marcia per ricostruire l’economia su basi più solide e promettendo di muoversi con l’audacia di Franklin Delano Roosevelt, il presidente che 80 anni fa fronteggiò una crisi ancora più grave di questa. Ma chiedendo anche a tutti uno sforzo comune e senso di responsabilità. E il voto che può consentirgli di restare alla Casa Bianca, perché in ballo non ci sono solo misure per la ripresa, ma «una scelta tra due modi completamente diversi di concepire il futuro dell’America».
COME KENNEDY - Come John Kennedy mezzo secolo fa, Obama ha chiesto al suo popolo di riconoscere di avere responsabilità, oltre che diritti: «Come cittadini dobbiamo capire che l’essenza dell’America non è in quello che può essere fatto “per” noi, ma in quello che può essere fatto “da” noi. Tutti insieme, col duro, frustrante ma necessario lavoro dell’autogoverno». Un discorso difficile, quello pronunciato da Obama, che non ha rinunciato alla vecchia parola d’ordine della speranza, ma l’ha declinata in questa nuova chiave: non la speranza che lui infonde all’America, ma la speranza che l’America infonde a sé stessa e al suo presidente con tanti esempi di coraggio civile, tante storie di impegno e sacrificio.
LE STAR - Alla fine i 20 mila della Time Warner Arena di Charlotte si sono stretti attorno al loro presidente con calore e fiducia, ma in un clima che non è certo quello dell’apoteosi di quattro anni fa a Denver. E’ finita così, con un Obama ormai coi capelli bianchi che ha abbracciato sul palco Michelle e le figlie Sasha (ormai alta quasi quanto lui) e Malia («sono orgoglioso di voi ma domani dovete andare a scuola»), l’ultima giornata della kermesse politica dei progressisti. Che hanno risposto all’asso calato una settimana fa dai repubblicani nella serata finale della loro convention, Clint Eastwood, facendo salire sul palco tre giovani attrici: Scarlett Johansson, Eva Longoria e Kerry Washington. Meno celebri del mostro sacro di Hollywood, ma capaci di pronunciare discorsi di grande passione politica, senza creare controversie tali da distogliere l’attenzione della convention dai veri protagonisti politici della serata, com’era accaduto a Romney con l’«ispettore Callaghan».
L’ATTACCO DI BIDEN - Il protagonista Obama, ovviamente, ma anche il suo vice Joe Biden e John Kerry che avrebbe potuto essere presidente nel 2004 e che è la voce più autorevole dei democratici in materia di politica estera. Kerry ha rivendicato l’azione del presidente «impegnato come un laser contro il terrorismo» e ha ribadito il totale appoggio Usa a Israele. Biden ha parlato lungamente della sua relazione umana con Obama, un uomo che ha «coraggio nella sua anima, compassione nel suo cuore e una spina dorsale d’acciaio». Un presidente che ha sempre sentito la sofferenza e la difficoltà di governare e ha messo carattere nella sua leadership, ad esempio accettando i rischi di un fallimento nel difficile salvataggio dell’industria dell’auto. Poi è arrivato l’attacco a Romney, tratteggiato come un capitalista spietato: «Non è un tipo cattivo, ma non può paragonare la sua Bain Capital al più alto ufficio del Paese. Il governatore Romney pensa che in un’economia globale non ha importanza dove le società investono per creare posti di lavoro. Adesso lui dice che da presidente comincerà con un “job tour”: beh, visto il suo sostegno all’”outsourcing”, sarà un tour all’estero». E la conclusione da gran comiziante: «L’America non è in declino, non vi conviene scommettere contro il nostro Paese». Alla fine benedizione del cardinale Dolan e niente palloncini. Solo un po’ di coriandoli sparati da qualche cannone ad aria compressa.
7 settembre 2012 | 15:44

CORRIERE.IT
CHARLOTTE - «Alla convention repubblicana c’era un attore in età senile che parla con una sedia vuota. Alla convention democratica c’erano Scarlett Johansson, Eva Longoria, Kerry Washington. Fate voi i conti». «Preferirò sempre la sedia vuota di Clint alla testa vuota di Eva». Così i commenti su Twitter nei minuti successivi all’apparizione alla convention di Charlotte delle tre attrici (probabilmente non a caso un’afroamericana, una bianca e una latina).
«QUI COME AMERICANE» - Tutte e tre chiariscono subito di non essere alla convention in quanto attrici. Kerry Washington: «Non sono qui prima di tutto come attrice, ma come afroamericana e come donna…». Scarlett Johannson: «Non vi parlo come giovane Hollywood», ma come giovane americana (e per dimostrarlo ha una maglietta bianca con la bandiera a stelle e strisce). La «Casalinga disperata» Eva Longoria è co-direttrice della campagna per la rielezione di Obama, e come le altre racconta le difficoltà economiche dell’infanzia e i sacrifici per pagarsi gli studi (Eva avrebbe insegnato aerobica e cucinato hamburger da Wendy’s). Obiettivo: rinnovare il messaggio "Yes We Can" che Scarlett contribuì a lanciare cantando in un video. Soprattutto tra le minoranze. «Si se puede», grida Longoria.
7 settembre 2012 | 11:31

CORRIERE.IT - VIVIANA MAZZA
Il compito di Joe Biden: «vendere» il presidente Obama all’elettore bianco di ceto medio-basso (il principale gruppo che preferisce Romney, secondo i sondaggi). Ma solo dopo che altri due membri della sua famiglia hanno venduto Biden. Gli occhi del vicepresidente, affacciato alla balconata proprio sopra quella dei giornalisti, si sono riempiti di lacrime quando suo figlio Beau, veterano dell’Iraq, dal palco lo ha definito «un eroe».
IL FIGLIO E LA MOGLIE - Nel pomeriggio, prima della convention, Beau aveva attaccato Paul Ryan, l’uomo che vuol prendere il posto di suo padre. Ryan, che ama parlare dell’agilità con cui passa dalla corsa alla caccia con l’arco, ha detto tempo fa di aver corso una maratona in meno di tre ore, ma poi si è scoperto che ce n’erano volute quattro. «Mia madre una volta ha completato una maratona in quattro ore e mezzo - ha detto Beau ieri - quindi credo che Ryan possa competere con lei. Anzi no. Credo che mia madre lo batterebbe». Dunque, è stata la volta della signora Biden che ha assicurato ai delegati di aver sempre amato Joe per il suo «ottimismo» e perché è un «padre amorevole»: «Joe lavora sempre per dare alla gente un senso di speranza».
IL DISCORSO - Mentre un video alternava alle immagini dell’industria automobilistica alle promesse di «determinazione, perseveranza, ottimismo» («i valori di Biden») arrivano ai giornalisti le anticipazioni del discorso del vicepresidente e ai delegati i cartelli con la scritta «Fired Up, Ready for Joe» (infiammato e pronto per Joe). «Non dice niente», commenta un canuto reporter di Minneapolis. Il vicepresidente, come prevedibile, ha chiamato in causa le proprie origini working class. La frase più memorabile: «Osama Bin Laden è morto, mentre General Motors è viva».
ASPETTANDO OBAMA - «Siamo alla porta 103, tra la Florida e il Texas». Nell’arena di Charlotte, Theresa Morelli, delegata dei «Democratici all’estero», ascolta i discorsi che preparano il terreno a quello conclusivo di Barack Obama circondata dai colleghi dei vari stati. È la serata del presidente ma lei è ancora esaltata per il discorso di Bill Clinton del giorno prima. «Non aveva nemmeno il teleprompter, io l’ho sempre detto che dovevamo clonare il suo cervello». Appese ad un cordoncino intorno al collo e appuntate sulla giacca ha una ventina di spillette pro-Obama. Ha incontrato Michelle ieri mattina, le ha stretto la mano, si è ripromessa di lavorare ogni giorno dei prossimi 61 per registrare gli elettori su Votefromabroad.com.
NEL 2008 - Ma la vera emozione sul suo volto, si accende quando parla del 2008, quando era una superdelegata nelle primarie, col potere di spostare l’ago della bilancia verso l’uno o l’altro candidato in caso di «pareggio». Un giorno squillò il suo telefonino. «Hello Theresa, this is Hillary Clinton». «Mi ha telefonato, lo giuro sulla Bibbia», racconta la delegata, che in Italia lavora nel settore immobiliare. «Non ho capito più niente». E qualche giorno dopo, la chiamò Bill, racconta. «Ho fatto campagna per mia moglie più di quanto l’abbia mai fatto per me stesso - mi ha detto -, non ti deluderò Theresa, non ti deluderò». E io ho telefonato a tutte le mie amiche. Obama? «Anche lui mi ha cercata, ho trovato almeno tre diverse chiamate».

ANTONIO CARLUCCI SULL’ESPRESSO
Chi pensava che Barack Obama avesse messo in soffitta la parola Hope, speranza, il simbolo della corsa allla Casa Bianca del 2008, si deve ricredere. Perché lui ha visto che la speranza è diventata realtà. Quando ha visto tornare a casa i soldati dall’Iraq, la guerra da lui chiusa appena arrivato alla presidenza. Quando ha visto che a nessuno poteva essere negata l’assicurazione medica perché aveva delle patologie precedenti. Quando ha visto tornare al lavoro uomini e donne negli stabilimenti dell’industria automobilistica a Detroit come a Toledo, che qualcuno considerava già da rottamare e semmai da portare all’estero.
Giovedì 7 settembre, nel palazzetto dello sport di Charlottte dove Barack Obama ha accettato la nomination per la corsa alla rielezione, il presidente si è presentato come un uomo pragmatico. «Il lavoro da fare non è ancora finito». E ancora: «La strada da percorrere non è breve né facile». E la scelta da fare il prossimo 6 novembre, ha messo in chiaro il presidente, non è tra due candidati che si rassomigliano o che pensano che il modo di risolvere i problemi dell’America sia intercambiabile. Le differenze tra i due candidati non sono impercettibili, sono profonde.
«Ci sono due visioni. La nostra vuole che tutti insieme andiamo avanti è la migliore», ha indicato Obama. Per il presidente la ricetta di Mitt Romney è vecchia e improduttiva: giù le tasse e via qualche regolamento che non piace. «Noi non pensiamo che il governo debba e possa risolvere tutti i problemi dei cittadini», ha detto OBama replicando al programma della destra che vuole smantellare il governo per lasciare la libertà di iniziativa ai singoli. «Ma non crediamo neanche che sia la fonte dei problemi dell’America».
Obama ha parlato poco più di 35 minuiti ed è statao introdotto da un crescendo di interventi che hanno riscaldato il palazzetto “Time Warner” occupato in ogni ordine di posti, con migliaia di persone che sono rimaste a casa per la scelta dell’organizzazione di non fare la serata finale della Convention nello statdio dlela città per il rischio di temporali e di fulmini. A scaldare i delegati sono sul saliti sul palco il governatore del Michigan Jennifer Gronholm, una signora bionda che si è rivelata uno tsunami oratorio; l’ex governatore repubblicano della Florida Charlie Christ, il “traditore” che ha ricordato «non sono stato io ad andarmene, è il Partito Repubblicano che ha preso un’altra strada»; il vice presidente Joe Biden, considerato un pericolo gaffeur ma che è un formidabile cacciatore di voti e che ha fatto un intervento a stelle e strisce senza sbavature.
Il governo, dunque. I repubblicani lo vogliono rimpicciolire. Ma allora, si è chiesto Obama, chi si deve occupare dlel’ambiente in cui viviamo? «Vogliamo lasciare bruciare il Pianeta E che cosa lasciamo ai nostri figli? Qualcosa bisogna pur farlaı. E la scuola? «Possiamo continuare a dare lavori specializzati a gente che viene dall’estero perché le nostre scuole non sono preparate?» Obama vuole assumere 100 mila nuovoi insegnanti di matematica perchè il Paese non debba ricorrere a cinesi e indiani per lavori di questo tipo.
E le tasse? Fino a che sarà alla Casa Bianca, Obama ha promesso di mettersi di traverso contro ogni iniziativa che bastoni la middle class, contro ogni riforma fiscale che faccia pagare una segretaria più del finanziere che l’ha assunta solo perché i redditi della prima sono considerati da lavoro dipendente mentre i secondi sono frutto di investimenti da rischio. «Main Street e Wall Street devono avere le stesse regole», ha detto Obama dimenticando però che proprio i conflitti in seno alla sua amministrazione hanno reso più morbida la legge che regolava banche, assicurazioni e finanziarie.
La politica comunque non è muro contro muro. Democratici contro repubblicani. Obama ha ricordato che «nessuna democrazia funziona se non ci fanno compromessi». Ma una cosa è trovare soluzioni concordate, un’altra è abbandonare per strada i propri valori. Ma se nel 2008 parlava da candidato, oggi parla da presidente. E dunque le sue sono promesse che possono essere mantenute, visto che in questi tre anni di risultati ce ne sono stati diversi e importanti ( sui tra grandi televisori al centro del palazzetto sono passati in sequenza gli obiettivi raggiunti).
E la conclusione non poteva che essere: «Se volete che tutti giochiamo con le stesse regole, allora datemi il vostro voto per altri quattro anni da Commander in Chief».
Da domani sarà una battaglia senza quartiere. E i momenti caldi saranno i quattro faccia a faccia tra Obama e Romney.

PUBBLICO.IT
Michelle Obama e la giovane stella politica dei latinos Juliàn Castro saliranno sul palco del Time Warner Cable Center fra qualche ora, ma la convention democratica è già entrata nel vivo con la pubblicazione della piattaforma programmatica per il secondo mandato di Obama.
Secondo l’autorevole istituto di ricerche Pew, in vista dei summit di Tampa e Charlotte i potenziali elettori erano più interessati ai singoli programmi (le ‘convention platform’) di Repubblicani e Democratici che non ai singoli interventi politici: chiamati a esprimere il loro livello di interesse per i diversi ingredienti della convention Democrat in North Carolina, in particolare, gli intervistati sembravano più ansiosi di leggere il programma (55%) che di ascoltare gli interventi di big come Bill Clinton (52%).
“Oggi la nostra economia sta tornando a crescere, Al Qaida è più debole di quanto non sia mai stata dall’11/9 e il nostro settore manifatturiero sta crescendo per la prima volta in oltre un decennio. Ma dobbiamo fare di più, per questo ci troviamo di nuovo insieme per portare avanti ciò che abbiamo iniziato” è la premessa del documento che sarà adottato oggi dai delegati in North Carolina.
Il programma è in netto contrasto con la dichiarazione politica che il partito repubblicano aveva espresso la settimana scorsa in Florida: fra le parole d’ordine democratiche, più tasse sui ricchi, difesa della sanità, tagli alle spese per la difesa, fermo sostegno del diritto all’aborto, sì ai matrimoni gay.
“Queste elezioni non saranno solo una scelta fra due candidati o partiti politici, ma fra due percorsi radicalmente diversi per il nostro paese e le nostre famiglie” si legge nel testo. E mentre a Charlotte continua la parata di star – dopo il concerto di apertura di James Taylor sono attesi anche la ‘desperate housewife’ Eva Longoria e il rapper will.i.am – i repubblicani arruolano un altro testimonial celebre (oltre a Clint Eastwood). Si tratta di Nicky Minaj, cantante di origini trinidadiane idolo degli adolescenti che in un brano intitolato Mercy e prodotto da Lil Wayne assicura: “Sono una Repubblicana che vota per Mitt Romney, voi altre pigre puttanelle state fottendo l’economia”.