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 2012  settembre 07 Venerdì calendario

DALLA SCUOLA ALLA PA GLI AIUTI DELLA BCE CI COSTERANNO CARI


Le notizie, straordinarie seppur attese, in arrivo da Francoforte hanno fatto passare in secondo piano l’agghiacciante bollettino diramato stamane dall’Ocse: il prodotto interno lordo italiano, secondo le ultime stime, scenderà quest’anno del 2,4% e non dell’1,7% come previsto in primavera. Certo, la recessione morde tutti, ma non nello stesso modo. Tra i Sette Grandi, club cui l’Italia appartiene ormai più per tradizione che per requisiti, solo la Gran Bretagna accusa un risultato negativo, che per giunta potrebbe essere ritoccato all’insù quando verrà quantificato l’effetto Olimpiadi. Gli altri, pur pieni di acciacchi, crescono, consolidando il recupero dai minimi toccati nel 2008, l’ora della prima grande ondata di crisi. La produzione industriale italiana, invece, è ancora sotto del 22 per cento rispetto ai tempi della crisi di Lehman Brothers.
Di fronte a questi numeri, ancor prima di prender atto dei risultati del direttorio della Bce, il Financial Times ha pubblicato ieri mattina un articolo dal titolo eloquente: «La recessione potrebbe costringere l’Italia a chiedere l’aiuto dell’Unione Europea». In sintesi, la questione delle «severe condizioni» da sopportare per aver diritto al sostegno della Banca Centrale Europea non è una partita limitata a Madrid. Ma tocca da vicino il Belpaese, assai più di quanto non voglia far credere il governo che ieri con Monti ha ribadito che l’Italia potrebbe «non ricorrere» agli aiuti. Al contrario, non solo la caduta verticale dell’economia minaccia di vanificare gli effetti positivi della riduzione dello spread. Ammesso e non concesso che i mercati o la stessa Bce possano continuare all’infinito a dar fiducia ad un Paese che stringe la cinghia in modo eroico ma che smobilita il suo apparato economico. Perciò, val la pena di guardare più da vicino «la severa ed effettiva condizionalità» cui dovranno sottoporsi gli Stati interessati a «un appropriato programma Esfs/Esm». Il comunicato dell’Eurotower non fornisce (né poteva farlo) troppi dettagli in merito. La questione, infatti, è più politica che tecnica, anche se il dossier nelle ultime settimane è stato affidato alla divisione economia della banca centrale, a stragrande maggioranza formato da tedeschi. Ma l’impressione è che la materia, più che esser sviluppata da sherpa o burocrati di Bruxelles o di Francoforte, sarà decisa dalle toghe rosse della Corte Costituzionale di Karlsruhe, che mercoledì si pronuncerà sulla legittimità, nel quadro della suprema carta della Repubblica Federale, dell’Esm, il meccanismo che dovrà fornire i mezzi per sostenere gli acquisti di Bonos e Btp.
Insomma, il contratto che legherà comunque l’Italia al creditore è nelle mani dei giudici tedeschi che di sicuro non saranno insensibili al grido di dolore della Bundesbank, cioè la «pancia dei tedeschi». Difficile che la Corte bocci l’accordo, infliggendo ad Angela Merkel e al Parlamento una sconfitta così sonora. Facile che i giudici alzino un muro, più che i paletti, fatto di condizioni rigide e di controlli continui e pignoli sui debitori per placare i malumori dell’elettorato. Ma la questione, vista dall’Italia, comporta gravi problemi politici. Può un Paese, che rappresenta l’ottava potenza economica del pianeta, farsi imporre una sorta di camicia di forza a pochi mesi dalla scadenza elettorale? Certo, molto dipenderà da qualità e quantità dei paletti. La versione «minimalista » considera le «severe condizioni» alla stregua di una formalità o, al più di uno stimolo a proseguire lungo la strada già condivisa da governo e Parlamento. Nella sostanza ci verrebbe chiesto, come in parte già avviene oggi, di rispettare la tabella di marcia già concordata. Perciò, se la recessione continuerà a mordere assai più di quanto previsto dal Governo, si dovrà accelerare il piano di privatizzazioni. E così via. Una sorta di pilota automatico, dunque, capace di riportare l’aereo sulla giusta rotta anche durante la tempesta. Ma, ribattono i «massimalisti», le richieste della Ue investiranno la qualità, non solo la quantità delle scelte del Belpaese, interessando materie che riguardano da vicino lo spread del paese reale in materia di giustizia, scuola, amministrazione pubblica e così via. Tutti problemi veri, che vanno affrontati con la massima urgenza. Ma senza gettare via il bambino della democrazia con l’acqua sporca del malaffare nostrano. Meglio parlarne ora, senza farsi troppo prendere dall’euforia dello spread che s’abbassa e della Borsa che sale. Mario Draghi, ancora una volta, ci ha regalato tempo prezioso: non sprechiamolo.

Ugo Bertone