Antonella Fiori, l’Espresso 7/9/2012, 7 settembre 2012
PICCOLI LIBRAI CRESCONO
Per comprare un libro ci vuole fiducia. Ai tempi della crisi è sull’affidamento al libraio che si basa il futuro dell’editoria. Oggi chi sceglie una novità, saggio o romanzo che sia, non vuole fare passi falsi, acquisti sbagliati. «Sono disposto a spendere cinque euro in più pur di ricevere il consiglio giusto, piuttosto che comprare un libro in saldo rischiando di portare a casa un volume che non corrisponde alle mie aspettative o ai miei interessi» dice Claudio, 54 anni, insegnante romano, lettore "forte" secondo la media italiana (nel senso che compra tra i 10 e i 12 libri l’anno) tornato a fare acquisti dal libraio sotto casa dopo l’esperienza pluriennnale dei megastore. La storia di Claudio è esemplare: «Guadagno meno di duemila euro al mese. Ne destino cento, qualche volta centocinquanta ai consumi culturali, tra libri, cinema, dischi, concerti. Prima di spenderli, devo aver la certezza di fare un acquisto giusto. Nei megastore, magari ti fanno lo sconto, e puoi anche sfogliare a lungo il libro, ma se chiedi un consiglio per un testo sull’India i commessi si limitano a indicarti il reparto viaggi in fondo a sinistra».
La vulgata degli anni scorsi aveva accreditato la versione dell’inarrestabile successo delle librerie di catena - dove oltre ai libri, trovi i cd, i dvd, le agende, le penne e i pennarelli - che si erano mangiate le piccole librerie di quartiere esattamente allo stesso modo con cui il supermarket ha fatto fuori la bottega alimentare sotto casa. Ebbene, occorre fare un aggiornamento. La crisi sta portando a una ricerca di qualità che riguarda anche il libro: "Spendo ma voglio spendere bene" è il motto del cliente. Richiesta che mette in difficoltà chi punta solo sulla quantità e sulla novità (libri che se non vendono nei primi 60 giorni finiscono nelle rese) e non sulla professionalità del libraio.
MODELLO DAUNT L’esempio più eclatante arriva dall’Inghilterra. Per risanare il colosso Waterstones, 300 megalibrerie, 4.500 dipendenti, un business di oltre 500 milioni di sterline, ma con vendite in caduta libera per la concorrenza di Amazon, il proprietario, il miliardario russo Alexandre Mamut, ha chiamato non un tagliatore di teste ma un libraio indipendente, James Daunt. Dopo il successo della sua prima libreria, in auge da 22 anni in Marylebone High Street a Londra, il modello Daunt si è imposto, partendo da appena cinque punti vendita che però hanno tenuto testa ai megastore della capitale inglese. L’uovo di Colombo? La vecchia idea di libreria che ha come fulcro la competenza del librario. Proprio lui: in carne, ossa e neuroni. Se Waterstones era famosa per l’altissimo turn over delle persone che ci lavoravano, Daunt ha valorizzato invece il pedigree di preparatissimi personal shopper che sanno guidare anche i più inesperti all’acquisto. Sono librai che non chiedono al cliente lo spelling di P. G. Woodhouse, o consigliano Don De Lillo a chi ama invece Wilbur Smith (avviene in tante librerie italiane, e non solo). «La nostra è una filosofia precisa dove non importa sprecare spazio, ma guardare, assaporare, scegliere», dice Daunt, autore di un saggio illuminante uscito di recente nell’Almanacco Guanda dedicato all’editoria a cura di Ranieri Polese. Ambientazione studiatissima - luci naturali, finestre ad arco, scaffali e tavoli rigorosamente in legno - all’opposto dei supermarket di libri con le file tutte uguali, nelle librerie modello Daunt è importante anche come sono sistemati i testi: esposti di faccia, anziché di dorso e tenendo conto dell’argomento trattato e non dell’editore (come spesso avviene nelle librerie, ad esempio tedesche). E anche: le librerie della catena sono incoraggiate a comportarsi come se fossero negozi di quartiere. È il direttore locale a decidere quali volumi esporre in evidenza e come, in modo da venire incontro alle esigenze del pubblico del luogo. L’acquisto dei volumi è centralizzato insomma, la loro commercializzione è invece lasciata all’iniziativa locale. Ed è stato Daunt il primo a capire e teorizzare che per la vendita di un libro non è decisivo il prezzo, ma il libraio.
CONSIGLIO E "SCONSIGLIO" In Italia l’allarme è scattato con le montagne di libri invenduti nei megastore, eterogenesi dei fini della loro disposizione in libreria, dettata da accordi con le case editrici che pagano perché i loro volumi fossero messi in vista. «I lettori sono stufi dell’omogeneità di proposta. Ogni libreria deve avere un proprio carattere e proporre titoli diversi», dice Davide Ruffinengo che ha lanciato assieme a Davide Ferrario a Torino il progetto di Therese e Profumi per la mente. Oltre al negozio in corso Belgio, anche la vendita itinerante. «Abbiamo aperto da tre anni e c’è sempre stato il segno "più" sui nostri introiti. Il segreto? Selezione con sigillo di garanzia per l’enorme lavoro di ricerca sulle piccole case editrici».
Che in libreria non si compra più in maniera generalizzata è anche la tesi di Romano Montroni, una specie di mago del nostro mercato editoriale. Dopo 45 anni in Feltrinelli, Montroni oggi consulente delle librerie Coop, inizia col dire che la differenza non sta tanto nella misura della libreria, quanto nelle competenze. «I nostri store, con il mercato che a luglio ha perso circa 10 punti (dati Nielsen Gsk), hanno tenuto e addirittura incrementano il fatturato». Ma poi, quando deve spiegare i motivi di successo, ammette che sì, il piccolo funziona meglio: «Al 90 per cento paga la capacità di gestione dei librai. Per stare sul mercato bisogna essere preparati. I negozi che hanno saputo reggere alla crisi sono quelli che danno un certo servizio. I cinque milioni di lettori forti che ci sono in Italia vanno dove trovano assistenza». Esempi? «A Modica una libraia bravissima che gestisce un franchising Mondadori. Oppure Lucio Morawetz della libreria Utopia di Milano. Negli anni ha conquistato uno zoccolo duro di clienti che ha massima fiducia in lui. Chi va lì "compra" anche il suo parere. E nonostante abbia solo 80 metri quadri di spazio, fa 800 mila euro l’anno di fatturato».
Il trend è globale. Prendiamo le vendite dei libri in Francia: negli ultimi otto anni sono aumentate del 6,5 per cento, soprattutto grazie alla rete di librai di quartiere. Un negozio come "La griffe noire", a Saint-Maur-des-Fossès, è diventato il punto di riferimento per i parigini pronti a farsi mezz’ora di treno pur di non perdere i preziosi consigli del libraio, Gérard Collard. «Il nostro lavoro non è solo consigliare ma sconsigliare. Rispetto alla mole di novità che escono bisogna avere il coraggio di dire al cliente che un certo romanzo, molto pubblicizzato, non è granché», spiega Andrea Spazzali della Libreria Centofiori di Milano, che nel quartiere resiste dal 1976. Una credibilità guadagnata anche grazie all’interscambio con un circuito di amici clienti. «Sono loro che ci danno pareri su quello che noi consigliamo, a volte facendoci delle schede». Così sul bancone del negozio trovi titoli che in una grande catena farebbero già parte delle rese e invece diventano i longseller della libreria: romanzi strepitosi come "Stoner "di John Williams (Fazi) o "Il tempo è un bastardo" di Jennifer Egan (minimum fax).
L’INSIDIA DELL’ON LINE Se la strada pare quella di ridare alle librerie un’identità perduta, le difficoltà sono legate pure alla concorrenza della vendita su Internet. «Le librerie più grandi contengono al massimo 50-80 mila volumi, mentre in Rete ce ne sono disponibili almeno 300 mila. Chi vuole un libro preciso, di nicchia, può trovarlo con più certezza sul Web e per di più scontato», dice Stefano Mauri, presidente del gruppo Gems (Longanesi, Guanda, Garzanti, Salani, Ponte alle Grazie). Mauri non è d’accordo con la condanna totale dei megastore. La moltiplicazione in Italia dei supermarket dei libri ha riempito un vuoto imprenditoriale, dice. «I librai, in particolare Alberto Galla presidente di Ali (Associazione italiana librai), accusano i gruppi editoriali che hanno sviluppato catene di librerie (come il caso di Gems, ndr.) di essere giocatori ma anche giudici. In realtà l’unico arbitro resta il mercato». Ma poi finisce per apprezzare le piccole librerie: «Un fenomeno tipicamente nostro è la sopravvivenza dei librai indipendenti che in Italia pesano per più del 30 per cento. Come editore non posso che rallegrarmene, più sono, più la concorrenza si fa sulla qualità della proposta». E del resto è stato Mauri a portare qualche mese fa Daunt alla sua scuola di librai di Venezia.
LA MUTAZIONE DELLE CATENE E le librerie di catena come reagiscono? C’è stato, recentemente il caso della Mondadori di Napoli: chiusa a pochi mesi dall’apertura. Si dice che l’omonimo gruppo editoriale ne stia traendo una conclusione: puntare sulle librerie di quartiere, ma anche trasformare i megastore. «Abbiamo lavorato sulla razionalizzazione del network. Non abbiamo in programma nuove importanti aperture», dice Renato Rodenghi, direttore generale direct del Gruppo Mondadori, 595 punti vendita, tra librerie in gestione diretta e in franchising, multicenter e simili. Niente più nuove librerie, quindi. E quelle esistenti? «Sono in crescita i punti vendita con la formula del franchising», qualcosa di simile alle librerie di quartiere dunque. Ma non basta: c’è un cambiamento radicale della formula megastore: «In quello di piazza Duomo a Milano abbiamo dato il via a iniziative come Cook&Books, un intero piano dove libri di cucina sono affiancati da utensili e dove c’è una vera scuola di cucina».
Il fenomeno in corso nelle grandi catene è appunto quello di una mutazione genetica. Finora Feltrinelli, Mondadori, Coop, Giunti, hanno venduto per il 70 per cento libri, per il 20 per cento gadget, per il 10 per cento cibo: adesso si riparte dal libro ma per ridefinire e ampliare l’offerta. Un abbinamento, quello di libri e food, per scaldare l’asetticità dei megastore, su cui scommette la catena delle Feltrinelli che ha lanciato a Roma a via del Corso il progetto RED: read-eat-dream, (leggi, mangia, sogna), slogan che evoca un’esperienza sensoriale completa. E i libri? Risponde Stefano Sardo, amministratore delegato di librerie Feltrinelli, 106 negozi in tutta Italia: «In RED ci sono meno titoli ma c’è più attenzione alla proposta tematica». Precisa :«I volumi saranno esposti con la copertina visibile e le recensioni dei librai». Un modello che riprende quello di Daunt, appunto.
Conclude Alberto Galla, presidente dei librai italiani e titolare di una storica libreria a Vicenza: «Da una parte stiamo constatando che qualsiasi libreria di medie o piccole dimensioni non può avere un assortimento universale. E quindi dovrà differenziarsi per sopravvivere. È una chance e tutti lavorano a questo. Dall’altra i megastore, le grandi cattedrali costruite in questi anni, diventeranno altro: luoghi dove si mangia, si beve, ma dove si venderanno meno libri».